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Parigi celebra ciò che "la Palestina dona la mondo"

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Malgrado gli appunti e le fotografie, in questi giorni e sotto le terribili suggestioni della cronaca di guerra non è facile riportare alla memoria una mostra vista a luglio scorso nello spazio sempre straordinario dell’Istituto del Mondo Arabo di Parigi: “Ce que la Palestine apporte au monde”. Si rischia il linciaggio, anche se parliamo solo di aspetti culturali, il clima è quello che conosciamo: polarizzazione estrema, nessuno spazio per il ragionamento. Eppure.
Non so se partire dalle fotografie d’epoca che sui muri dell’Instituto ricordavano i tempi in cui quelle terre erano perlo più vasti spazi aperti scarsamente popolati per poi, nella stessa sala, metterle a confronto con immagini invece contemporanee, di una vita colorata e normale che ogni comunità vorrebbe: un lavoro a portfolio persino divertente quello che immagina una “occidentale” linea della metro che attraversasse Gaza, con i cartelli, le indicazioni, persino la mappa delle fermate.
Una voglia di essere come tutti - a partire dal modo in cui ci si sposta - uguali a quelli che stanno fuori dalla più grande prigione a cielo aperto del mondo.
Oppure, rimanendo sempre nell’ambito del fotografico, ripensare al trittico di Safaa Khatib, peraltro fiorentina d’adozione, che documenta come alcune detenute palestinesi siano simbolicamente evase dal carcere israeliano che le imprigionava facendo evadere i loro… capelli.
La storia è speciale: dopo aver ascoltato un appello radiofonico a donare i propri capelli per le donne sottoposte a chemio, un gruppo di detenute ha deciso di rispondere come poteva; una volta fattesi crescere delle trecce, le hanno tagliate e inviate clandestinamente fuori dal carcere. Khatib ha scoperto la vicenda a casa di una sua conoscente che le conservava e da lì è partita l’idea di farne un lavoro fotografico quasi a voler sottolineare anche il lato più politico della vicenda: malgrado tutto, la “vita continua” anche in carcere, i capelli crescono anche in cella e mandarli fuori ha il significato di ribadire la propria esistenza libera. Per quanto metaforico, un messaggio davvero potente.
O ancora, rivolgere l’attenzione alla collaterale “Les valises de Jean Genet” nella quale si ripercorre la vicenda dell’intellettuale francese e dei suoi lunghi trascorsi accanto al popolo palestinese, a cominciare dal famoso reportage - in collaborazione col fotografo Magnum Bruno Barbey - sulla condizione dei palestinesi negli anni tra il 1969 e il ‘71, reportage poi apparso nell’agosto di quello stesso anno sulla rivista Zoom.
 
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Anche la mostra su Genet prende le mosse da una vicenda: un paio di settimane prima di morire, lo scrittore consegna al suo avvocato due valigie piene di manoscritti e materiali personali come lettere, conti d’albergo, appunti sparsi. Come in una storia perecchiana, questo materiale quotidiano apparentemente banale prende invece la sua forma e diventa la traccia con la quale seguire sì una vita intellettuale ma anche e soprattutto decenni di storia che Genet stesso ha attraversato col suo lavoro di testimone.
Ma l’ultimo ricordo è sensoriale: una voce possente ma gentile, ferma e cantilenante a un tempo richiama il visitatore. Una suggestione da sirene viene da uno schermo in fondo ad un angolo appartato della mostra: è un’installazione video dove gira a loop un discorso di Mahmoud Darwish, probabilmente il più grande poeta di lingua araba del Novecento; discorso nel quale – pur con le ovvie barriere della lingua (se non ricordo male, il video non  aveva sottotitoli in lingue occidentali) - si percepisce potente la forza del discorso. I toni, l’alzarsi e abbassarsi dell’onda sonora, i gesti delle mani, il suo partecipare al discorso col corpo intero sono più espressivi di qualsiasi traduzione e ci fanno cogliere, più di qualsiasi altro sentimento, il dolore e il rammarico per una perdita che lascia ancor oggi un abisso vuoto. Nelle sue stesse parole, quel vuoto suona più o meno così: «Non ho potuto avere il mio posto sulla terra così ho cercato di conquistarmelo nella Storia».
La mostra rimane aperta ancora per un mese, fino al 19 novembre: dopotutto, Parigi non è poi così lontana...

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Ultimo aggiornamento ( Lunedì 27 Novembre 2023 15:32 )  

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