L'agenzia di stampa "Ansa" (1) riporta la notizia secondo cui nella notte sarebbe sato raggiunto l'accordo sulla direttiva Ue per il salario minimo. Questo accordo, per quanto vago e fumoso, consisterebbe solo nellla creazione di un "framework" di riferimento, e non in una "data cifra", nè un chiaro obbligo valido in tutti gli stati membri. Fino ad oggi, l'Italia, insieme all'Austria, alla Danimarca, a Cipro, alla Svezia e alla Finlandia non ha nessun salario minimo nè su base oraria nè su base mensile. Altri paesi come la Bulgaria, hanno una cifra ridicola come minimo salariale, che comunque è sempre meglio ...di nessun limite al ribasso.
Sul tema, le forze parlamentari del cosiddetto "Belpaese" sono in feroce disaccordo tra di loro. Se Conte, i "5 Stelle" e persino Letta ritengono che qualche "foglia di fico" vada purtuttavia messa di fronte al dilagare della corsa al ribasso del costo del lavoro, (dato anche che la diffusione del "lavoro nero" da un lato e delle infinite forme di schiavitù come la famigerata alternanza scuola-lavoro dall'altro, renderanno qualsiasi legge in proposito inefficace nei fatti), il ministro Brunetta ha esplicitato che un qualsiasi salario minimo sarebbe contrario al principio di sfruttamento senza freni che da sempre contraddistingue i pescicani di casa nostra (2). E' una questione di "storia culturale" (sue esatte parole) e, se mettiamo così la faccenda, diventa davvero difficile dar torto al non altissimo ministro. Salvini è da parte sua possibilista, perchè la priorità rimane abbassare le tasse (per chi già ora non le paga), e una volta fatto questo si potrà persino concedere qualche briciola.
Anche Confindustria rimane abbastanza aperta sul tema. Se anche venisse introdotto un salario minimo di 9 euro l'ora, purchè si abbassino proporzionalmente le tasse per le aziende, la miseria dei lavoratori e il profitto degli industriali rimarrebbero sostanzialmente invariati, con il vantaggio di guadagnare un argomento a favore della "pace sociale", e del resto tutti sanno che in Italia le norme hanno solo lo scopo di moltiplicare le eccezioni a vantaggio dei soliti noti di Piazza Affari.
In realtà il problema è abbastanza complesso. In Italia, oltre alla piaga del lavoro nero, si moltiplicano esponenzialmente le situazioni in cui il lavoro viene legalmente estorto senza che venga realmente corrisposto un salario. La famigerata alternanza scuola lavoro è solo la punta di un immenso iceberg fatto di lavori più o meno "non pagati" o con paghe già in partenza solo simboliche che non verrebbero toccati da nessuna legge sul minimo salariale, perchè ufficialmente "attività formative" o addirittura "terapeutiche". Anche laddove il lavoro sia formalmente pagato, abbiamo gli "straordinari" spesso "pagati in nero" o persino, di fatto: "non pagati affatto". Addirittura, il salario può esistere solo "sulle carte", e in realtà accade che al lavoratore "non entra in tasca un euro". Anche le infinite forme di "auto-imprenditoria" sono a volte solo dei sistemi per i "pesci più grossi" di non pagare alcun salario a nessuno. Sarebbe troppo lungo fare un elenco esaustivo delle casistiche dello sfruttamento "servile" (termine tecnico per definire il "lavorare a gratis") fattivamente presenti in Italia.
E' difficile credere che qualsiasi legge possa da sola "risolvere i problemi"; tuttavia vietare severamente tutte le miriadi di forme di lavoro "servile" (e far si che questa legge venga persino rispettata), potrebbe essere un passo in avanti per tutta la società italiana, di cui in ultima analisi, persino gli industriali beneficierebbero. Purtroppo però, la borghesia italiana è storicamente e culturalmente tra le più arretrate e ignoranti d'Europa. Per una volta chi scrive deve dare -sia pure parzialmente- ragione a Brunetta. Esiste un problema di "storia culturale".
Fabrizio Cucchi/DEApress
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