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Recensione di "Rave new world" di Tobia D'Onofrio

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L’attualità dei temi de “Le baccanti” di Euripide è motivo di continuo stupore. Tra i tanti temi “di perpetua attualità” dell'opera c’è anche quello della repressione statale dei culti dionisiaci.

Malgrado le molte e profonde similitudini, il fenomeno dei “rave party” è comunque qualcosa di diverso ad es. dei culti dionisiaci "strictu sensu" parimenti repressi ad es. con il famoso “Senatus consultum de Bacchanalibus” del 186 a.C.  Infatti se, secondo la nota tesi del Detienne in “Dioniso e la pantera profumata” (1), i culti dionisiaci erano in gran parte un fenomeno sociale; (tesi che personalmente posso accettare solo con qualche riserva), e solo secondariamente un movimento religioso, i "rave party" sono invece un vero e proprio movimento culturale, data l’influenza su musica, arti visive e arti performative nonché persino sulla letteratura, e solo secondariamente un fenomeno sociale (e religioso, in senso lato).

I provvedimenti legislativi dell’ autunno di due anni fa, in Italia, hanno avuto -secondo il modesto parere di chi scrive- l’effetto paradossale di restituire la vitalità di questo fenomeno che francamente -almeno a livello italiano- sembrava altrimenti- sempre secondo la mia opinione- destinato un po’ a spengersi. Dato che stiamo appunto parlando di un fenomeno culturale (2), è importante esaminare “i testi” sull’argomento. Esistono, come per altro ogni grande movimento culturali, opere e analisi che ne rivelano (volutamente o no) i limiti e altre che invece ne attestano gli elementi “costruttivi” (volevo scrivere “progressisti” ma è diventata “una parolaccia”).

Per parlare di questo movimento culturale, esaminiamo oggi “Rave New World” di Tobia D’Onofrio (ed. Agenzia X, seconda edizione, Milano 2018), anche perché è tra i pochi testi che cercano di dare al lettore “uno sguardo complessivo” sul fenomeno (anche se manca un’analisi sulle influenze del fenomeno sulla narrativa e sulla poesia contemporanee). Quindi partiremo da lì per esaminare in estrema sintesi questo “movimento”, anche se un’analisi complessiva richiederebbe certo qualcosa di più approfondito di questo mio scritto….

Il libro parte subito parlando di provvedimenti repressivi…Dopo la prefazione di Rémi Hess, nell’introduzione alla seconda edizione di Vanni Santoni, (tra le altre cose) si cita il cosiddetto “Public Order and Justice Act” del 1994 che vietando «eventi dove la musica include suoni pienamente o predominantemente caratterizzati dall’emissione di una successione di battiti ripetitivi» di fatto metteva fuori legge la cultura rave (un caso quasi unico di razzismo musicale elevato a legge, il cui unico precedente nella storia umana era il Regolamento per le orchestre del ministero della cultura nazista, che metteva limiti alla quantità di foxtrot suonabile in una serata)” (3), e la legge Mariani in Francia (4). Segue una premessa –intitolata ” La festa dei folli ” – in cui si citano vari studi accademici sul tema “la festa” popolare-musicale – e una breve “seconda premessa” intitolata “Generazioni X ” dove spicca la citazione di M. Philopat in cui si parla del movimento rave come “Ultima delle controculture” (ma qual è il confine tra cultura “mainstream” e “controcultura”?) e si ritorna a parlare del precedente nella Germania nazista in cui si cercò di reprimere un certo tipo di jazz. Quindi si cerca di darne un quadro storico, si parla delle differenze tra Gran Bretagna e Italia e si puntualizzano gli scopi del libro.

Il libro entra quindi nel vivo della questione con la prima parte intitolata “Il gioco della mente”. Quindi si parla di trance (vengono in mente subito “Le baccanti” di Euripide…) prima ancora che di musica… La trance del raver è descritta come l’incontro tra l’emozione e l’immaginario. In cosa il fenomeno dei “Rave” è diverso dalla sua immagine nell’immaginario collettivo? La trance è “modificazione di coscienza ritualizzata” (5) il ruolo della musica è solo quello di crearne le condizioni, ma non è l’unico fattore in gioco. Questo è esaminato dal punto di vista del rituale, che come ogni rituale necessita di preparativi al fine di arrivare ad un’ “altrove spazio-temporale” (6), nel quale risiede -anche a parere di chi scrive adesso questa recensione- il suo potenziale “rivoluzionario” e quindi di trasformazione. Perché la trasformazione avvenga è necessaria un’ epifania (in senso tecnico: una rivelazione del sacro). Perché questa “epifania” avvenga all’interno del “rave”, uno dei fattori è la musica. Ma, è necessario “un nuovo approccio alla musica, una nuova prospettiva”. E non basta: “gli aspetti rivoluzionari del rave non riguardano soltanto il discorso sonoro o l’orizzontalità dei rapporti di comunicazione: c’è la particolare sinergia con le droghe, il passaparola segreto, la caccia al tesoro, ovvero il percorso iniziatico. Infine […] c’è il rituale di abbandono alla trance collettiva” (7).

Quindi si arriva a parlare dei “precedenti musicali”. Questi vengono rintracciati dall’autore negli anni ‘70 del secolo scorso, nella “disco music” e soprattutto nella musica house di Chicago di poco posteriore, caratterizzata da un “tappeto sonoro, che viaggiava a una velocità maggiore rispetto alla disco ed enfatizzava le linee percussive”(8), fino alla nascita della vera e propria techno. Nel periodo successivo, in Inghilterra tutto ciò andò incontro a varie ibridazioni, tra cui si cita quella -non solo musicale- con il cosiddetto “cyberpunk”, e (anche) attraverso questo, con il movimento punk.

E’ quindi necessaria una ricognizione su “la rete delle controculture britanniche, dagli anni 60 agli anni 80”, e si parte dal constatare che “il movimento rave, infatti, recupera aspetti sia della filosofia hippy, sia del punk”(9); per arrivare ad una “ricapitolazione dei movimenti antagonisti inglesi fino agli anni ottanta”(10) quindi l’esperienza dei “free festival”, quella dei già citati movimenti hippy e punk e dell’esperienza dei cosiddetti “traveller”. I “free festival”, nati negli anni ‘70, videro il loro apogeo (e i tentativi più violenti di repressione da parte del governo britannico) negli anni ‘80, e contenevano già molti elementi di quelli che si sarebbero chiamati “rave”. Quasi contemporaneamente, Hakim Bey formulava la teoria delle “Taz” (temporary autonomus zone). Ancora però, la musica che caratterizza i “rave” doveva più compiutamente svilupparsi, era un po’ estranea a questi “free festival” ne non c’era stata la diffusione delle sostanze psichedeliche più caratteristiche di questo movimento (ossia l’ecstasy, e in seguito la ketamina). Questi elementi si aggiungeranno nel periodo immediatamente seguente, anche grazie all’apporto delle esperienze musicali sviluppate a Ibiza.

Il libro prosegue ricordando le varie esperienze americane e britanniche che saranno alla base del movimento “rave”, sottolineando “le contaminazioni”. Per queste “contaminazioni” l’estate del 1988 in Inghilterra divenne “uno snodo” molto importante, tanto che venne denominata “the second summer of love”. Dopo vari “eventi”, la stampa “benpensante” (leggasi: il “The Sun”) “lanciò i suoi strali”. Il D’Onofrio ricorda: “ciò che iniziava a destare preoccupazione era il nuovo fancazzismo , lo spirito ottimista che si opponeva alla mentalità workaholic […] dietro cui si celava l’incubo più terrificante: la diffusione incontrollata di party illegali” (11). La repressione della polizia c’era (si arrivò alla creazione di uno specifico distaccamento di polizia) , ma parallelamente al “contrasto” di “traveller” e free party, era all’opera il tentativo di incanalare il tutto su feste in ambiti legali. Si vedeva all’opera anche una sorta di “anarco-capitalismo”… “Era chiaro che il rave illegale si configurava come una vera e propria congiura nei confronti del sistema economico e sociale inglese in cui si era sviluppato”.

La maturità del movimento doveva ancora venire. Verrà con gli anni ‘90, con la nascita della vera e propria “techno hardcore” (nel libro chiamata semplicemente “hardcore”), nonostante il varo nel Regno Unito di misure legislative specificamente “anti-rave”: nel 1990 l’Entertaiment Act, e nel ‘94 il già citato “Public Order and Justice Act”.

Dopo un breve esame di quello che forse è il principale “testo ideologico” del movimento ossia: “T.A.Z” di Hackim Bey, il libro dà la parola al gruppo di artisti e di performers noti sotto il nome di “Mutoid Waste Company”, che chi scrive adesso qui, non esita a definire come tra i più influenti esponenti del movimento (il cui “villaggio degli scarti” -Mutonia, presso Santarcangelo di Romagna, è stato da qualche anno ufficialmente riconosciuto come “bene artistico da tutelare”). Questo gruppo ha avuto una grandissima influenza sull’arte contemporanea, riconosciuta dall’influenza su artisti del calibro di Damien Hirst (di cui chiunque ricorda il celebre teschio ricoperto di diamanti, “For the love of God” forse l’opera più “iconica” degli ultimi decenni). Nell’intervista i membri del collettivo raccontano la loro versione di come il movimento si sia evoluto attraverso gli anni, e del loro apporto.

Si passa poi a parlare specificatamente della “scena” italiana. E si parte chiarificando la differenza tra la musica “rave” e “la techno delle discoteche, cioè la underground o progressive, nata in opposizione alla dance commerciale”(12), parlando appunto della “scena italiana” dei primi anni ‘90, e della techno “barattolosa” che a sua volta si pone in rapporto dialettico con la techno delle discoteche… E’ il rave “a spingere” tutto il rapporto (almeno in quella fase), tanto che pur nell’opposizione dialettica sono “le discoteche alla moda” a “assorbire l’immaginario” dei rave. Quest’ultimo fenomeno però non è “commercializzabile”, e il libro riporta anche le voci dei protagonisti “dall’altra parte della barricata” ossia del mondo delle discoteche, che concordano su questo tipo di rapporto esistente tra le cose, che certo avrebbe affascinato Hegel.

Nel penetrare negli ambienti dei centri sociali, la musica elettronica incontrò all’inizio varie resistenze. Alcuni tra i militanti non ne riconoscevano il valore, la vedevano come musica “di consumo”, non capendo la summenzionata differenza tra i rave e la techno delle discoteche. Solo in un secondo momento ci si rese conto che molti dei protagonisti dei rave erano “ex punk e autonomi” (13). E’ Roma, nei primi anni ‘90 l’epicentro italiano del movimento, e sembra che ciò abbia influito in misura apprezzabile sul tessuto sociale della città, come della vicina Ostia.

Altri luoghi italiani importanti furono Bologna e il Salento. A livello internazionale, la “scena” inglese comunque continua ad essere un punto di riferimento. Tra i protagonisti di quegli anni, gli Spiral Tribe che contribuirono profondamente a portare l’influsso della scena inglese nelle esperienze italiane. Viene anche ricordato l’interesse immediato nei confronti del movimento da parte del sociologo e antropologo francese Georges Lapassade.

La sezione successiva del libro si intitola: “Il corpo rivoluzionario”. E si ritorna a parlare del Regno Unito, in termini che potremmo definire -per usare un termine “alla moda”- di sviluppo rizomatico e non verticale. “Inizialmente quello che fu definito hardcore techno raggruppava un’insieme di differenti tendenze sonore: la breakbeat house di Grooverider & Fabio, proprietari del club londinese Rage; l’hip hop/techno della Shut Up and Dance, gestita da due neri di Stoke Newington (quartiere anarco-comunista di Londra); la fulminante techno belga e la brutale grabber olandese; la jungle hardcore che sarebbe arrivata dopo poco su etichette come Suburban Base. L’hardcore prediligeva i riff ritmico/melodici in codice morse e una certa aggressività. Alle batterie elettroniche preferiva il campionamento di sequenze ritmiche funky o disco che venivano messe in loop secondo la scienza dei breakbeat (un’operazione che consisteva in una sorta di remixaggio della stessa musica house).(14)”. Eravamo già molto lontani dalle radici statunitensi, ma l’evoluzione si svolgeva per così dire, “sui binari” dell’originaria “matrice black” di Chicago degli anni ‘70 e seguenti.

Un maggiore “collettivismo” e, indubbiamente, una maggiore “positività” segna le differenze con il movimento punk, di cui comunque il rave assorbe alcuni aspetti.

La musica diventa progressivamente sempre più veloce. Dagli originari 120 bpm (battiti per minuto) si arriverà oltre i 190. Parallelamente proseguono la diffusione dell’ecstasy e i diversi influssi europei…Lo sviluppo degli strumenti elettronici si accompagna a nuove mode, a volte passeggere o ristrette a un determinato segmento del movimento (i guanti bianchi, l’abuso di Vicks Vaporub…), e poi alla diffusione di un nuovo aggettivo “crusty” che indicava una categoria eterogenea di persone tutte in qualche misura associabili ai “rave” e tutte malviste dai “benpensanti”.

La filosofia rimaneva quella espressa da un volantino degli Spiral Tribe: “We are here to reconnect the Earth; We ‘re part of the Earth; we ‘re part of us; You might stop the party but you cant’t stop the future” (15). La riconnessione delle persone con la Terra, (e tra di loro), attraverso l’elettronica. Gli Spiral Tribe vengono infatti descritti come “modern primitives” (16).

Viene (e questo è un’aspetto molto positivo, a parere di chi scrive qui adesso) sottolineato l’aspetto di rottura nei confronti dello sfruttamento delle vite nel sistema salariato a cui i rave party portavano i partecipanti; si ricordano persone che hanno deciso di smettere di lavorare dopo un rave…

Tra il ‘90 e il ‘92 gli Spiral Tribe vissero un momento di grande “forza creativa” in Gran Bretagna. Poi nel maggio del ‘92 vennero arrestati (insieme ad altri) e sottoposti a un processo che si rivelò (almeno a livello di immagine) un boomerang per il sistema repressivo britannico. Ma determinò anche un “inasprimento del sound” (“sempre più grabber e sempre meno acid house”) e in qualche misura, influì sulla decisione dei Tribe di spostarsi nel continente (17). Lì erano stati preceduti da altri gruppi, come quello già menzionato dei Mutoid.

Il 1994 viene considerata come l’annata più dura per il movimento, almeno per quanto riguarda il Regno Unito, dove entrò in vigore il “Criminal Justice and Public Order Bill” direttamente rivolto contro il movimento. La legge citava espressamente la “musica amplificata caratterizzata interamente o principalmente dall’emissione di una successione di ritmi ripetitivi” (18), e dava il potere alla polizia di fermare chiunque si riteneva fosse diretto a un rave nell’arco di cinque miglia, cosa piuttosto pesante sul tema “diritti civili”, e che ovviamente, si prestava a qualunque arbitrio…

Questo scatenò molte protesta da parte degli intellettuali, ma sistematizzò anche gli scontri tra raver e polizia. Collettivi come “Exodus” cercarono di legare proteste su temi più generali al movimento rave, arricchendo entrambi gli ambiti di lotta con nuovi contenuti. Azioni di protesta e megaraduni continuarono e continueranno a “contaminarsi” almeno fino alle proteste di Seattle del 1999 passando per il movimento di “Reclaim the streets” e le proteste nell’imminenza delle elezioni dell’aprile 1997. Tutto ciò, sebbene avesse uno dei suoi epicentri in Gran Bretagna, era ormai un fenomeno di livello mondiale, e influirà sul primo “Incontro per l’umanità e contro il neoliberismo” organizzato dagli zapatisti in Chapas nel 1996. Parallelamente nascevano i “Global day of action” e si hanno le prime avvisaglie di quello che poco dopo sarà il “movimento no global” .

Nel libro di D’Onofrio, volendo parlare del “movimento rave” si esamina infatti il “movimento no global” un po’, diciamo …”con quelle lenti.

Il 18 Giugno del 1999 venne organizzato, momento culmine di altri eventi britannici di protesta, il “Carnival Aganist Capital” (che verrà ricordato come “J18”). A Londra varie proteste confluirono in una grande manifestazione di fronte al London International Financial Futures Exchange, preludio (e secondo il D’Onofrio, maggiore) di quella più nota di Seattle, mentre in Germania e in Italia vennero organizzate manifestazioni minori.

Il capitolo successivo parla dei cosiddetti “teknival” e dei “Tecno Mobil Squad”,ma ricorda anche come intorno al passaggio nel nuovo millennio c’era stata la nascita dei sottogeneri “jungle” e “grime”. Poi, in “Raver no gender” si parla anche di cultura/controcultura e quindi anche di “TAZ”, oltre ad attestare l’apertura alle questioni “di genere” del movimento portando esempi di donne nel movimento stesso (con trascrizioni di interviste, cosa che “permea” tutto il volume.

Si arriva quindi a “Generazione mutante”. Tra le caratteristiche della generazione che è stata protagonista del movimento “rave” ci sono le pratiche corporali come la body art, che da un lato sembrava riportare la centralità sul corpo, dall’altro affermavano “un’identità mutante” anche di esso. Si cercava (e si cerca) di “vedere l’energia” oltre che di percepirla. Dopo un paio di interviste si arriva al tema dei rapporti con le istituzioni in Italia. Il rave è fondamentalmente estraneo a qualsiasi forma di commercializzazione e per ciò non poteva che suscitare le ire delle istituzioni; ma in Italia all’inizio la scarsa copertura mediatica del movimento, insieme alla confusione da parte del vasto pubblico tra rave e “subcultura” (è il termine usato nel libro) delle discoteche (differenza di cui però i gestori di quest’ultime erano ben consapevoli) ha inizialmente evitato una repressione sistematica come in Gran Bretagna, ma non l’attività repressiva di questori e prefetti.

Il libro poi ritorna sul funzionamento della “scena inglese” e si parla non solo della ketamina ma anche dell’ ingresso/ritorno dell’eroina e delle “roccette” di crack. Segue una parte con varie foto del movimento, e quindi si riprende il discorso sull’Inghilterra e sui festival albionici.

Segue una sezione, se vogliamo più “ideologica” rispetto al taglio storico-documentarista delle precedenti sezioni dell’opera, intitolato “Lo spirito immortale”. Il primo capitolo di questa sezione è “Il segreto del raver. Musica trance e dissociazione”. Si parla dell’etnologia della trance, ovviamente arrivando al tarantismo e a De Martino in una prospettiva di rapporti sociali e di dissociazione come forma di resistenza degli oppressi…

Mutate to survive” è il titolo del capitolo con le interviste a 69db degli Spiral Tribe e a 4Q dei Total Resistence e dei Sound Consiracy, e infine a Chris Liberator del collettivo londinese Stay Up Forever che “darà il titolo al capitolo”. Tutti questi fanno un breve riepilogo delle loro esperienze e del rapporto dialettico tra scena “legale” e scena “underground”.

Arriviamo quindi alle conclusioni vere e proprie. Di nuovo si parla di ketamina, di analogie e differenze con la controcultura degli anni ‘60 e con il movimento punk, del declino dopo l’anno 2000, delle differenze nazionali, e delle iniziative degli ultimi anni. Si finisce per parlare del “cadavere del rave” (19), cosa che sembrerebbe (a chi scrive qui e adesso) comunque un po’ prematura…

In conclusione “Rave new world” è un’esposizione abbastanza esauriente del meglio del movimento rave (manca solo un’indagine sulle sue ripercussioni sulla letteratura). Confido che questi rimangano vitali e contribuiscano alla rinascita (o alla continuazione) del movimento rave….

Fabrizio Cucchi/DEApress

 

(1) Detienne M. Dioniso e la pantera profumata, Roma-Bari: Laterza 1983

(2) l’insostenibilità del parlare di “subcultura” e/o di “controcultura” è stata convincentemente argomentata dal M. Canevacci in “Culture eXtreme. Mutazioni giovanili tra i corpi della metropoli”, pag 15-22, seconda ed. Roma DeriveApprodi 20021, non solo a proposito dei “raver”.

(3) D’Onofrio, T. “Rave New World”, seconda ed. Milano 2018, pag.19

(4) D’Onofrio, op.cit. pag .20

(5) D’Onofrio, op.cit. pag 34

(6) D’Onofrio, op.cit. pag. 38

(7) D’Onofrio, op.cit. pag 40

(8) D’Onofrio, op.cit. pag 45

(9) D’Onofrio, op.cit. pag.50

(10) D’Onofrio, op.cit. pag.52

(11) D’Onofrio, op.cit. pag.72

(12) D’Onofrio, op.cit. Pag. 100

(13)D’Onofrio, op.cit. pag 106

(14)D’Onofrio, op.cit. pag.130-131

(15)D’Onofrio, op.cit. pag. 139

(16)D’Onofrio, op.cit. pag.140

(17)D’Onofrio, op.cit. pag. 143

(18)D’Onofrio, op.cit. pag. 145

 

 

 

 

(19) D’Onofrio, op.cit. pag. 322

 

 

 

 

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Ultimo aggiornamento ( Lunedì 11 Marzo 2024 21:35 )  

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