UN REPORTAGE ATTRAVERSO IL MITO E LA STORIA - Dogon un popolo in pericolo
Reportage di Silvana Grippi
Una lunga storia mi lega a tanti popoli sconosciuti: ho avuto la fortuna di andare in Mali e di poter visitare alcuni villaggi del popolo Dogon, ai piedi di Bandiagara: una falesia importante di formazione rocciosa sedimentaria che si eleva a circa 500 metri sul livello sabbioso sottostante. Si estende da sud verso nordest per circa 200 Km, sino al massiccio Grandamia e termina con l’Hombori Tondo, che è il picco più alto del Mali (1.115 m.).
Un territorio famoso per la sua rilevanza geografica, etnologica, archeologica e orografica. La geomorfologia del territorio è spettacolare, i cieli spaziano e le nuvole corrono, secondo alcuni dati di varie fonti, la gente Dogon è stimata circa 240.000 persone, tra cui pochi uomini ma tante donne, vecchi e bambini sparsi in circa settanta piccoli insediamenti.
“Viaggiare in quei luoghi ha risvegliato molti sensi: è stato un impatto travolgente, un incontro tra culture. Siamo entrati nella loro riserva con un carro guidato da due buoi, dalle corna lunghe. Mi sentivo una regina, in quanto gli uomini procedevano a piedi dietro al carro. Era appena piovuto e nelle pozze d’acqua si specchiavano case fatte a mano con il fango con tante merlature. Nel primo villaggio visitatoci ospitarono a dormire sul tetto. Una notte chiara e piena di stelle.La mattina all’alba una colazione con tanta frutta per poi proseguire nel villaggio seguente e così via camminando da mattina a sera. Si saliva e si scendeva la Falesia dove piccole costruzioni su trampoli di legno si ergevano in modo precario e dove dentro c’erano ancora gli utensili dei loro antenati. Come fermi nel tempo: uomini, donne e bambini, vestiti in modo molto colorato e vivace, si avvicinavano per chiederci i semi di “Cola” ed offrirci le loro collanine. Infatti non esisteva la moneta ma il baratto, e la Cola era l’unica moneta di scambio. Sentirsi sospesi tra cielo e terra era una sensazione quasi mistica. Ci esprimevamo a gesti e mangiavamo quello che loro preparavano. La gallina era utile non solo da mangiare ma anche per predire il futuro che era quasi sempre nefasto. Invero non so se avevano consigli da dare anche perché non ci capivamo. Ma gli occhi e le mani parlavano per loro e questo è il più bel ricordo. Di questo mitico luogo che attraversato a piedi,in lungo e in largo, con tanta fatica e tanto amore, mi rimane un bellissimo ricordo”.
Vecchi agglomerati rurali, ai piedi delle antiche costruzioni lasciate dai pigmei, ancora arroccati tra le rocce. Le piccole comunità abitano in capanne costruite con la paglia e la terra rossa, senza luce e senza acqua: rappresentano una generazione sana e leggendaria che vive con grande dignità coltivando la sua indipendenza sociale e le sue credenze animistiche.
L'area della falesiafu abitata prima dai Tellem e poi dai Toloy. Si ritiene che i Tellem fossero i Pigmei provenienti dall'Africa subsahariana, che si siano stabiliti nella zona intorno all'XI secolo sconfiggendo gli indigeni. Vivevano nelle grotte sui pendii della falesia in seguito iniziarono a costruire case e grandi granai, dalla caratteristica forma a tronco di cono, visibili in diversi punti della scarpata, arroccati fra le rocce nella parte inferiore della scarpata nel primo villaggio di Kani Bozon, si spostarono sul pianoro e nelle pianure di Seno-Gondo. Ancora oggi si vedono le piccole case di fango, nei dintorni a sud della grande ansa del Niger, in una zona dichiarata nel 1989Patrimonio dell'Umanità dall'Unesco.
La presenza di mitologie hanno reso leggendari i Dogon che sono famosi per aver mantenuto le loro credenze “animiste” (concezione tipica dei popoli primitivi, secondo cui ogni fenomeno o cosa dell'universo è dotata di anima e vive in spiritualità con l’universo, di una vita propria, spesso creduta divina e degna di culto).
Gli ufologi considerano questa popolazione come i messaggeri di altri mondi e mitizzano le loro conoscenze fino a farne una lezione di vita. Questopopolo, da sempre,usa la mappa stellare e sa leggere le situazioni climatiche: tra le sue conoscenze anche la stella Sirio B che è stata scoperta solo in epoca moderna per mezzo dei telescopi.
Le credenze animiste si esprimonoin momenti esaltanti, attraverso danze propiziatorie e riti di passaggio con varie simbologie e soprattutto come maschere, copricapi, e sculture lignee. E’ usuale l'assunzione di cola ed altre sostanze che servono nelle cerimonie (nascita, morte, unioni e passaggi da una condizione ad un'alltra come le nostre usanze battesimo e matrimonio- Per prevedere il futuro usano chiedere consiglio agli antenati.
Per l’espressione collettiva usano simboli e danze gestuali e rituali (per l'acqua, la semina, il raccolto ed altro).
Durante la permanenza ho chiesto molte cose (curiosità antropologica) ma la reticenza a parlare del loro concetto di tempo e di spazio è molto forte oppure l'argomento è molto ampio al punto tale da non essere spiegabile banalmente con la semplice "parola".
Credo di aver capito che hanno dei concetti minimi: la fede, la riflessione e il rispetto per la natura e le forze celesti. Il corpo umano è il segno grafico più rappresentativo sia nella pianta del villaggio che nelle sculture lignee, fino alla porta scolpita che racconta la storia di chi vi abita. La festa più importante è il Sigui, che si svolge ogni sessanta anni, durante la quale viene intagliato un nuovo iminana: una grande maschera a forma di serpente che può raggiungere anche i dieci metri. Le maschere sono l'elemento di comunicazione tra il sacro e il profano e vengono usate soprattutto in occasione dell'accompagnamento del defunto che viene poi portato dai giovani sulla "montagna" in zone non raggiungibili. Ancora oggi i Dogon usano le grotte dei Tellem come luoghi di sepoltura.
Nel Novecento i Dogon sono stati tra gli ultimi popoli africani ad essere “scoperti”. L’antropologo Marcel Griaule nel 1938 ci fa conoscere un popolo con una cultura particolare attraverso un libro Maschere Dogon dove analizza rituali e simbologie di uno spaccato societario che aveva mantenuto usi e costumi di un periodo arcaico. Secondo Griaule,i miti, rituali e sacrifici dei Dogon sono realtà interconnesse in un sistema coerente e autonomo di pensiero che forma una vera e propria cosmologia, punto di partenza per capire la vita sociale, economica, e sessuale della gente. Egli studiò queste genti, e approfondì usi e costumi. Il celebre studioso si dedicò alla spontaneità di queste anime. Il Dio d’Acquaè il libro più conosciuto, un importante resoconto dei Dogon che presentata con lo stile di intervista ad un anziano cacciatore cieco Ogotemmeli. Il libro contiene il pensiero Dogon che per Griaule va collocato sulla corrente del pensiero filosofico degli antichi e vuole dimostrare come un popolo africano può possedere una scienza organizzata che evidenzia il rapporto tra sistema mitico e vita sociale.
Sui Dogon incombe una minaccia terribile, quella dell’Isis e la loro sopravvivenza è a rischio nella indifferenza della comunità internazionale. I piccoli villaggi vengono attaccati ogni giorno, case e mercati dati in fiamme, donne, anziani e bambini uccisi in modo efferato. I Dogon hanno iniziato a scappare rifugiandosi a migliaia nei campi profughi più vicini. La razzia di bestiame continua in modo da tagliare loro le risorse. L’area è interdetta ai giornalisti, e nemici come i Fulan e l’Isis imperversano senza nessuno che li ostacoli. L’unica strada è chiusa dai militari che non fanno passare nessuno se non con permessi speciali. A chi è stato in quelle zone arrivano messaggi e fotografie raccapriccianti, scattati con i cellulari, dove si vedono villaggi ridotti in cenere disseminati di cadaveri. Si tratta di una pulizia etnica, se non di un vero e proprio genocidio
In Mali sono presenti circa 15.000 caschi blu dell’Onu (la Minusma); due missioni militari dell’Unione Europea ed un contingente di soldati francesi della Operation Berkhane. Tuttavia questi contingenti sono tutti impegnati a nord e nessuno aiuta i Dogon. Ultimamente lo sconvolgimento climatico ha reso più acuta e grave la siccità e ciò ha contribuito a determinare una acerrima lotta per il controllo delle terre da pascolo tra i Dogon ed i Peul o Fulani che vengono arruolati dalla Jihad, mentre i Dogon si sono organizzati in comitati di autodifesa chiamati “chasseurs”. Queste tensioni, più o meno consuete tra villaggio e villaggio e tra allevatori e coltivatori, sono diventate una variabile impazzita che da un decennio si è trasformata in una guerra intestina. Pertanto uomini in motocicletta armati appartenenti ai Peul arrivano nei piccoli villaggi massacrando gli abitanti di una delle regioni più povere al mondo.
La differenza tra le due popolazioni è rilevante: i Dogon sono in tutto appena 250.000, mentre i Peul sono 25 milioni. Questi ultimi non sono una popolazione omogenea ma sono distribuiti in tutta la fascia del Sahel, attraversando mezza Africa dal Senegal al Sudan. Le comuni origini sono divise dalla storia, dalla geografia e dalla politica. Non solo. Dopo la sconfitta in Siria ed in Iraq, i Peul ed altre popolazioni vengono assoldate dai Jihadisti nel nome di una fantomatica guerra santa per uccidere le minoranze che credono in altre divinità, come appunto i Dogon. Mi domando cosa fare per salvarli?
La moschea Djinguereber di Timbuctù, la più antica moschea, cosiddetta "di fango", della città.
La maggior parte dei manoscritti di Timbuctù è scritta in lingua araba o in lingue africane traslitterate in arabo, definite collettivamente "scrittura Ajami".[5] Le lingue scritte locali impiegate nei manoscritti includono il Songhai e il Tamasheq (lingua tuaregh).[6] Tali manoscritti trattano un variegato insieme di argomenti, compresi vari aspetti della cultura dell'Islam, l'astronomia, il diritto e una vasta casistica legale.[7]
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