UN LANDAI PER MALALA
I
Essere giornalisti in Afganistan è pericoloso:essendo costantemente minacciati escono per le inchieste da soldati, con giubbetto antiproiettile ed elmetto, ma queste protezioni non sono spesso sufficienti, perché i cronisti scomodi vengono fatti saltare in aria da bombe collocate nelle loro auto.
Anche alle donne è riservata questa tragica fine, lo testimonia il destino di molte giornaliste afgane, tra le quali ricordiamo Malalai Maiwand, di soli 25 anni, che è stata uccisa con colpi di armi da fuoco a Jalabad, il 10 dicembre 2020. L l’ISIS ha rivendicato l’omicidio.
Malalai era una nota giornalista, conduttrice del notiziario della radio televisione ENIKASS, un canale privato per il quale lavorava da 8 anni. Ma la giovane era anche una coraggiosa attivista per i diritti delle donne: A Jalabad era rappresentantedelCentro per la protezione delle giornaliste afgane,perchéin questo paese dominato dal fondamentalismo, le croniste donne sono ancora più vulnerabili, vittime di discriminazioni, intimidazioni, abusi.
Malalai denunciava le crudeltà della guerra e la corruzione della politica,che vedeva ogni giorno nel suo paese martoriato, violazioni che non risparmiano neppure i bambini, che vengono uccisi anche quando sono a scuola o raccolti in preghiera. Sapeva che per questo avrebbe messo a rischio la sua vita. Sua madre, anche lei un’attivista, nel 2015 era stata uccisa dai cecchini, e c’è chi sostiene che la sua morte fosse stata voluta anche dai suoi familiari, che non sostenevano le sue istanze di giustizia. Malalai è la decima giornalista nel 2020 ad aver pagato con la vita la dedizione al suo lavoro, la terza in meno di un mese.
Con la sua morte il campo di azione per le donne si riduce ulteriormente e i colleghi vengono silenziati.
Il suo lavoro alla radio era importantissimo, perché la radio da’ voce alle telefonate delle ascoltatrici, che sono spesso analfabete. E che, per scrivere o recitare le poesie rischiano molto, persino di essere uccise. Per questo, senza rivelare la propria identità, le donne denunciano la loro situazione di oppressione,in forma sibillina e poetica, con versi composti spesso oralmente e tramandati segretamente di donna in donnamentre si riuniscono per i lavori domestici.
Sulle ondein tal modo vibrano i componimenti tradizionali delle poetesse afgane, i landai, che sono distici attraverso i quali le donne -spesso ragazzine- raccontano lapropria vita nelle gabbie della famiglia patriarcale. Brevi frasi, clandestine, dettate al telefono in anonimato e recitate via radio con la voce della disperazione e del sarcasmo, ma proprio per questo assumono un significato politico straordinario.
Spinte dall’ascolto dei landai alla radio altre donne decidono di fare altrettanto, raccontando la propria schiavitù e i propri desideri di libertà.
Dedico a Malalai un landai di Meena Muska, scritto a 17 anni:
"Sono un tulipano nel deserto, muoio prima di sbocciare
e le onde della brezza del deserto soffiano via i miei petali"
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