E’ quasi mezzogiorno quando varchiamo la soglia del polo di Novoli. Fuori il sole è alto. Lo sottolineo perché la prima cosa che si nota è una sorta di netta separazione con il resto del mondo: all’interno del campus non batte il sole. I pochi raggi che riescono a superare i monumentali edifici rimangono poco tempo, lasciando spazio all’ombra che regna sovrana. Infatti, il campus è molto meno accogliente di quelli che siamo abituati a vedere nei film americani. L’idea di base è la stessa, creare uno spazio unico in cui far confluire tutti gli studenti di uno stesso ambito di studi, in modo da facilitare logisticamente il regolare svolgimento del lavoro universitario e favorire forme di socialità tra gli studenti per rendere possibile quella circolazione di idee fondamentale per uno sviluppo culturale critico e consapevole. Invece all’interno del polo non esiste un simile spazio, uno spazio di aggregazione. Gli edifici che si affacciano sulla via principale, via delle pandette, sembrano soffocare questa esigenza. Il cemento ha avuto la meglio. Non esiste uno spazio verde, predominano i colori del cemento, dell’asfalto. Sembra di avere di fronte un ecomostro.
Per rispondere a questa esigenza alcuni ragazzi hanno deciso di occupare, non senza sacrifici, una piccola aula di uno di questi edifici, il D5. Sono studenti qualunque, alcuni schierati politicamente altri no, ma al di fuori dello spazio. E’ uno spazio apartitico. Le porte sono aperte a chiunque voglia semplicemente prendersi un caffè, tra una lezione e l’altra, o leggersi i giornali o proporre qualche iniziativa. E’ uno spazio aperto al dialogo e al confronto che va oltre il frequentare l’università per uno studio sterile e fine a se stesso. Qui è possibile parlare e confrontarsi su ogni tematica.
Molte sono le iniziative, alcune ancora in cantiere come un corso di Photoshop o uno di Linux, altre stanno prendendo forma: organizzano dei pranzi sociali che possono essere “pagati” o con semplice denaro o con dei libri, che andranno ad arricchire la piccola libreria autogestita. Una sorta di ritorno alle origini, con il baratto. I ragazzi e le ragazze sono costretti a dormire dentro per evitare che vengano sgomberati un’altra volta, come è accaduto a Gennaio. Infatti sono in molti a contestare l’istituzione di questo spazio, dalle alte cariche universitarie agli altri collettivi studenteschi, che regolamento alla mano (da sbandierare solo quando conviene?) cercano minuziosamente ogni cavillo per reprimere questa iniziativa. Le fondamenta di questo progetto hanno tanto da dare all’intero polo e l’università non può che trarre benefici dalle buone idee: quale altra università al mondo non promuoverebbe uno spazio di incontro e confronto fra le diverse menti ? La libera circolazione delle idee può solo fare da fertilizzante per la formazione individuale e culturale, di studenti che andranno a costruire il futuro. Un futuro aperto alla diversità, al dialogo, al confronto, solo così si possono abbattere le barriere del pregiudizio e del fanatismo. Questo è solo un piccolo, ma significativo punto di partenza.
Paola Cama /DEApress
Share |
< Prec. | Succ. > |
---|