C'era una volta un omino triste.
Era triste perchè non riusciva a stare bene con gli ALTRI. Lui, questo non lo
sapeva, anzi, pensava di essere una persona giusta al posto giusto.
Per spiegare questo suo malessere, come ben sappiamo, bisogna risalire alla sua
infanzia.
Quando era bambino, nessuno amava giocare con lui, perchè gli piaceva fare sempre il
solito gioco: "il capo sceriffo che sistema sempre tutti". Per un po' glielo fecero
fare, poi gli altri bambini si stufarono e lo allontanarono. Allora, lui diventò
cattivo e cominciò a maltrattarli. Durante i giochi in strada o nei giardini,
sceglieva accuratamente le sue vittime, spesso i bambini più piccini e più DEBOLI.
Nei suoi giri solitari, andava alla ricerca di quei fanciullini che giocavano
tranquillamente da soli, magari con una paletta e un secchiello e che si divertivano
ad esempio, a costruire meticolosamente piccole città a misura di bambino. Ecco,
quelli non li poteva proprio soffrire e così...Si nascondeva e quando non c'era
proprio nessuno, gli tendeva un agguato: li assaliva e gli distruggeva a pestoni le
loro splendide -costruzioni- intelligenti, facendoli piangere a squarciagola. Un
giorno, però, gli andò male : un bambino, reagì, e gli dette una bella gragnolata di
cazzotti che per un po' di tempo, gli fecero passar la voglia di fare il "grosso".
Ma il desiderio di vendetta fu più forte e così pensa che ti ripensa, si organizzò.
Si mise al fianco dei bambinotti maneschi, anche loro a corto di immaginazione e
creatività. Non sapevano mai a che gioco giocare e si divertivano solo a fare a
botte. Ma per lui, erano gli amici giusti. Ora sì che poteva sbizzarrirsi: tirate di
capelli, calci e spintoni. E sempre riuscendo a farla franca.
Divenne ben presto il terrore di tutti i bambini e le bambine che si passarono
parola e continuarono a scansarlo .
Anche a scuola, si comportava malissimo: le sue vittime preferite, a parte le solite
bambine, erano i bambini gracili, i piccoli poveri e quelli più scuri di pelle che
diceva che erano neri come le piattole e le formiche. La sua maestra era disperata.
Povera donna! Non sapeva più che dire e che fare . Oltretutto, anche il suo
rendimento scolastico era veramente scarso. E spesso la maestra era costretta a
scrivere sul suo quaderno giudizi molto severi.
Per questo crebbe male, diventando fondamentalmente triste.
E anche se lui era l'oppressore, in realtà, quando, si guardava allo specchio,
inconsciamente, non si piaceva, poichè la faccia scontenta dell'oppresso, ce l'
aveva lui.
Così, tanto per non cambiare, anche da grande, continuò a fare lo stesso gioco: lo
sceriffo. Accompagnato da quei "soliti" bravi, ormai cresciuti, ma solo nel corpo,
si aggirava per le strade della città e si divertiva, come sempre, a individuare le
sue vittime: zingari, lavavetri, accattoni e a trovare modi bizzarri per impedire
loro qualsiasi possibilità di far soldi alla luce del sole.
Gli venne in testa di togliere di mezzo anche coloro(due o tre) che chiedevano
l'elemosina sdraiati: con quella posizione facevano inciampare la gente.
EPILOGO
Un bel giorno, mentre ne escogitava una delle sue, camminando per strada nel
Centro di Firenze, distratto com'era da questi pensieri, inciampò in una delle
tante buche che tappezzano il selciato di questa città e finì con il culo per
terra. E giù tutti a ridere! Non si sa se si fece molto male, ma quello che è
sicuro è che si vergognò così tanto, ma così tanto, che sparì e non si vide più.
Manuela Giugni
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