Sin dai tempi antichi il genere umano ha sempre dovuto affrontare epidemie (nonché carestie e altri disastri), dalla peste che sconvolse l'impero romano dal II sec. d.C., a quella descritta dal Boccaccio nel Decamerone, per poi passare alla devastante epidemia descritta nei Promessi Sposi, all'ultima grande pandemia, l'influenza spagnola del 1918, che causò milioni di morti, per poi scomparire in modo repentino e misterioso.
Eppure, secondo me, quello che sta succedendo per colpa del Covid-19 si può paragonare solo lontanamente alle già citate epidemie del passato. Questo perché, in primo luogo, l'epidemia odierna sta durando più del previsto (anche se, grazie ai vaccini, l'effetto del virus si è molto indebolito); la seconda motivazione è più complessa, e va ricercata alla base della società contemporanea. Essa, presa da manie di grandezza - quasi onnipotenza - s'era dimenticata di quanto fosse fragile, sia dal punto di vista politico che economico; di quanto altresì l'essere umano fosse fragile. Il virus, che ormai tutti conoscono, ha fatto quello che pareva impossibile, anche di fronte alle tecnologie moderne - non solo quelle basate sul progresso della medicina -, ovvero ha messo di fronte nuovamente l'essere umano alla fatalità: esso sarà sempre un soggetto in balia della sorte. Quello che succederà non può essere previsto; questo clima di incertezza, con effetti di emozioni e paura, accompagnerà il futuro di noi uomini, fino alla - questa sì certa - fine dell'effimero dominio dell'uomo sulla Terra.
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