Se fin dai tempi di Voltaire rimane inascoltata la famosa constatazione che la civiltà di un paese si misura dalle condizioni di vita nelle carceri (e quelle italiane ci collocano molto in basso nella classifica dei "paesi avanzati"),le rivolte in carcere e le evasioni di gruppo non sono solo storia degli anni '70. Questo è fondamentalmente dovuto al fatto che il carcere non è cambiato; qualcosa è cambiato nelle leggi e nei regolamenti, ma "di base" non si sono fatti grossi passi avanti... La nostra società ha solo diversificato gli strumenti repressivi, ma quelli classici (famiglia, reparto psichiatrico, e appunto: carcere) conservano intatta la loro funzione. Al carcere minorile "Beccaria" di Milano, a Natale sette detenuti sono evasi, e il resto ha dato fuoco alle celle(1). Tre degli evasi sembra siano ancora in fuga. Perchè ciò è successo proprio lì? Le ragioni vanno ricercate nelle carenze strutturali che hanno fatto sì che i lavori di ammodernamento del luogo si allungano da ben 15 anni. Poi esistono i problemi specifici dei carceri minorili. Bisogna cominciare con il dire che la struttura repressiva “par excellence” per i minorenni, non è il carcere bensì la famiglia. Ciò è ampiamente riconosciuto (“de jure”) dalla legge italiana. Dove finisce l’azione della famiglia comincia quello della polizia.La famiglia, definita secondo i canoni del cristianesimo (infatti non è ad es. la "familia" romana, essa include di norma solo i consanguinei, perlopiù "stretti" e ovviamente solo i membri dell' autoproclamata specie "homo sapiens" ), è infatti riconosciuta dalla legge come la “prima istanza” repressiva. Questo è dimostrato dal fatto che il "reo" minorenne dovrebbe "in prima istanza" essere riconsegnato ad essa. Ma cosa succede? Non sempre il magistrato ritiene la famiglia efficace nel reprimere oppure volenterosa di farlo. Si può trattare di un "nucleo familiare" i cui membri siano ad es. (e qui mi limiterò ad elencare solo i casi più frequenti) pregiudicati, detenuti, in certi casi: tossicodipendenti, più frequentemente: clandestini, oppure proprio residenti all’estero (e qui recentemente si è trovato l'escamotage di mandarli in una famiglia italiana, quando possibile), o magari semplicemente irreperibili (caso non così infrequente, specie tra i cosiddetti “nomadi”), etc... La "casistica" è molto varia... In questi casi, per “qualsiasi sciocchezza” si può giungere in carcere (ad es. con l’uso della cosiddetta “custodia cautelare”) Ricordiamo che il magistrato in questione dispone di ampia discrezionalità, (che come sempre in questi casi è l'autostrada per l'arbitrio più irrazionale) e l’affidamento alla famiglia di origine può per giunta venire rifiutato per un’ ampia gamma di ragioni, non sempre intellegibili. Si giunge all'assudo di considerare il carcere una scelta "migliore" per costoro rispetto alla cosiddetta "strada". Non deve stupire nessuno "se qualcuno si ribella"...
Fabrizio Cucchi/DEApress
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