Galleria DEA
Via Alfani 164/r – Firenze
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1° - 2° Incontro
Reportage degli anni novanta dell’Archivio DEApress foto di Silvana Grippi
con il contributo del Ministero della Cultura
Direzione Generale Educazione - Ricerca e Istituti Culturali
Dal Poderaccio all’Olmatello passando dal Masini e dalle baracche verdi
“In previsione di attuare il progetto“Ipotesi museale della comunicazione” stiamo attivando
l’Archivio DEA che comprende vario materiale cartaceo, oggetti di valore storico e fotografie
in attesa di essere collocate nel settore antropologia della visione” Samira Sharfeddin
"Reportage dei campi Rom di Silvana Grippi effettuato negli anni '90, significativa esperienza per Firenze,
per aiutare a capire la cultura , gli usi e le tradizioni di un popolo sofferente, che in quel periodo
era emigrato per motivi di guerra dai Balcani…". Eraldo Capitini
Vi aspettiamo per visionare l’Archivio dal 1 giugno al 30 luglio 2022
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DEA -Archivi aperti – 1° incontro 20 maggio 2022
“Studio Life Archit4etture: - "Finalmente Silvana Grippi ha aperto il suo archivio, pieno di storie, tenuto celato per molto tempo. Il lavoro che presenta con questa mostra copre gli anni novanta e si è svolto nei campi profughi fiorentini, dove trovarono accoglienza, ma anche molti ostacoli, Rom e rifugiati di diverse zone che fuggivano dalla guerra della ex Yugoslavia. La precarietà dei campi, in cui brulicava una vita tra baracche di legno, lamiera e cartone, ha offerto all'autrice la possibilità di documentare, col suo occhio lungimirante, un fenomeno sociale che si tendeva a nascondere. Appaiono nella loro vita quotidiana persone piene di storie passate, dai volti scavati dal malessere ma anche occhi penetranti pieni di una vita "non arresa". I bambini, le donne, gli anziani si mostrano nella loro integrità, ritratti nel loro aspetto dignitoso”. Lino Ferrieri
“ Le immagini di Silvana, che ha studiato geografia all'Università di Firenze, vanno oltre il visibile e trovano nell’apparente degrado la perla pasoliniana di un riscatto umano. La mostra ripercorre quelle che allora erano le estreme periferie fiorentine: il Campo dell’Olmatello, del Poderaccio, del Masini ed i loro villaggi, ma anche le Baracche Verdi di Don Mazzi all’Isolotto dove fu fatto l'esperimento di un Laboratorio di cucito. Silvana Grippi ha vissuto quei luoghi portando non solo la sua professionalità ma anche un’innata passione capace di rendere testimonianza, narrandone la storia attraverso i suoi scatti. La sua esperienza proviene da reportage fotografici, dove negli anni ottanta si reca in Egitto nell’alta Nubia con “il desiderio di conoscere e approfondire ciò che incontravo: uomini, donne, paesaggi, culture e sentimenti.” Il senso di riconoscersi in diverse culture senza preconcetti dottrinali apre un orizzonte largo che ritroviamo anche in questa mostra, dove i minimi particolari risplendono di luce, di sogni e d’ingiustizie ancora da colmare che costituiscono una visione antropologica del fenomeno. Alfredo Allegri
Un lungo viaggio nel disagio, nell'acquisizione del diritto a vivere degnamente!
di Alfredo Allegri
Il Centro socio-culturale Didattica-Espressone-Ambiente fin dagli anni novanta ha lavorato per far conoscere e integrare la popolazione rom di Firenze. Attraverso alcune testimonianze e con la conoscenza diretta di alcune persone nei vari campi, che hanno vissuto esperienze diverse a seconda della provenienza, siamo riusciti a capire meglio gli usi e i bisogni della gente rom. Fin dall'inizio del secolo venivano chiamati “tzigani”: questa popolazione indo-asiatica nei secoli ha camminato per percorsi tracciati come viandanti alla ricerca di luoghi più idonei per un proprio riconoscimento sociale. I rom, oltre ad essere una comunità itinerante, con un bagaglio di usi costumi e tradizioni, per sopravvivere mettevano in atto, dove transitavano, la pratica dell’appropriazione indebita, questo, li metteva inevitabilmente in cattiva luce. Durante la seconda guerra mondiale e la messa in atto delle leggi razziali, le comunità rom e Sinti, furono oggetto di persecuzione e deportazione nei campi di sterminio.
Tornando ai giorni nostri e alla loro presenza sul territorio fiorentino, la maggior parte di loro in fuga dall’area balcanica e dall'ex Jugoslavia in guerra (la maggioranza apparteneva al Kosovo), e furono ospitati a Firenze e si insediarono presso il quartiere dell’Isolotto, costituendo i campi del Poderaccio e dell'Olmatello (nel 1988). La loro grande comunità, da subito, trovò una certa ostilità a causa dell'immaginario comune che identificava il rom nello 'zingaro' e tale pregiudizio era molto forte. Alcune Associazioni formarono un comitato a fianco delle istituzioni fiorentine per facilitare l’integrazione e rendere più' agevole il reciproco rapporto.
Furono istituiti servizi e creati aiuti da parte delle associazioni più all’avanguardia per garantire il sostegno ai bisogni primari. Questo rese possibile una rete di scolarizzazione.
“Le testimonianze che ci arrivavano da chi portava avanti questi progetti, evidenziarono varie difficoltà; molti insegnanti raccontavano che i bambini e i ragazzi non erano propensi al discorso della scolarizzazione. La nostra associazione si offrì di fare educazione all’immagine con dei laboratori didattici e ciò rese possibile una comunicazione più fluida. Questo modo di coinvolgere i giovani e la loro concezione di ''vita libera'' che appartiene alla comunità nomade ci portò s conoscerli meglio, tanto da riuscire ad creare una comunicazione diretta con le famiglie che ci permisero di entrare nelle loro realtà”.
Questa gente mostrava più interesse per le attività pratiche perché questo dava loro la possibilità di “sopravvivere” e permetteva loro di rimanere legati alle loro tradizioni. Nonostante lo scarso interesse per la scolarizzazione, i rom sono comunque riusciti a mantenere una propria identità e a gestire anche la loro vita lavorativa di fuori dei campi; alcuni di loro si sono diplomati e addirittura hanno frequentato l’università.
In queste vecchie foto si evidenziano le condizioni disagiate anche a livello socio-sanitario in cui versavano i campi nomadi, grazie però alle rimostranze avanzate attraverso alcune manifestazioni, essi hanno fatto si' che le amministrazioni comunali attuassero un piano abitativo. Queste difficoltà per una collocazione in soluzioni abitative sono durate fino al 2003 quando il Comune avviò, finalmente, un piano per la chiusura definitiva dei campi del Masini prima e del Poderaccio e Olmatello in seguito La costruzione di mini appartamenti con il progetto Michelucci e la chiusura definitiva dei campi permise la collocazione organica della gente nomade, in varie zone trasformando la loro vita in “stanziale”. Queste foto, che fanno parte di una “ipotesi museale” del piccolo archivio DEA, sono diventate ormai una testimonianza di una storia lontana!
Centro Sperimentale: Eraldo Capitini - Silvana Grippi - Samira Sharferddin
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