Diseguaglianza nelle retribuzioni: manager pagati 380 volte più dell'impiegato.
Questo il titolo dell'editoriale di Massimo Giannini ne La Repubbica - Affari e Finanza di lunedì, 23 aprile 2012.
L'ingiustizia sociale si fa sempre più pressante in un Occidente sempre più impoverito. Il capitalismo fino ad un decennio fa era considerato non perfetto ma il migliore degli “ismi” perchè garantiva a donne e uomini una distribuzione della ricchezza relativamente migliore di qualunque altro sistema sperimentato nella storia.
Oggi è tutto completamente diverso.
Prende il sopravvento una nuova forma di “lotta di classe” che si distingue in ragioni pratiche non ideologiche.
Il rapporto annuale di “Executive Paywatch” - Australian Council of Trade Unionis – presenta un rapporto impressionante: nel 2011 gli emolumenti medi – riporta il vice direttore di Repubblica – dei Ceo americani (in “servizio”presso i colossi industrial finanziari riuniti nell'indice Standard e Poor's500) sono arrivate a quota 12,9 milioni di dollari con un incremento del 14% rispetto all'anno precedente. Un reddito pari a 380 volte quello di cui, nello stesso periodo, hanno beneficiato i lavoratori dipendenti e gli impiegati.
Nel 2010 sul 2009 – prosegue Massimo Giannini – l'incremento degli stipendi dei top manager era stato ancora maggiore: 22,9%.
Nel 2009 l'incremento dei compensi medi dei Ceo erano 320 volte maggiori di quelli dei loro impiegati.
Una “bolla” inarrestabile.
Incredibile – si legge nell'editoriale – perchè lievita in una fase di crisi economica che non ha precedenti. I sacrifici veri, quelli più pesanti li stanno facendo i “soliti noti”. Quelli che campano del loro salario in base alla busta paga. Questa categoria, secondo il Rapporto, nel 2011 ha beneficiato aumenti retributivi pari al 2,8% sufficiente appena a coprire l'inflazione.
L'editoriale si conclude chiedendosi: quanto può reggere una società attraversata da questa diseguaglianza? E come si può pensare di risolvere il capitalismo senza affrontare e risolvere anche il problema delle desuguaglianze retributive?
Il potere d'acquisto è rimasto fermo da anni. I licenziamenti continuano a mietere drammi nelle famiglie. Imprenditori e senzalavoro presi dalla disperazione, decidono di porre fine alla propria vita. Da anni manca la crescita. La politica dei tagli e dei sacrifici non torna più quando non solo i compensi dei top manager ma le loro liquidazioni, i loro pensionamenti continuano ad avere incrementi mentre chi ha già gravi difficolltà a “sbarcare il lunario” viene appesantito con aggravi sulle bollette; costi sempre maggiori da sostenere. Lo stesso aumento della benzina ha portato un aumento generalizzato di tutti i beni di consumo.
L'avvenuta “mancanza di ideologie” ha depresso la stabilità dei valori etici dei quali adesso ci accorgiamo la mancanza.
E' in atto una destabilizzazione della democrazia a danno della base. Vuole prepotentemente emergere una presenza populista che rende il futuro pericoloso.
La desuguaglianza nelle retribuzioni non solo impoverisce la società nel suo insieme ma arreca un disagio esistenziale gravissimo ed una non meno gravissima ingiustizia globalizzata.
Con il governo cosidetto tecnico la politica si è presa ampio respiro per declinare le sue responsabilità e affidando decisioni impopolari a Monti ed il suo staff; nondimeno hanno dovuto attenersi alla lettera della BCE ovvero obbedire alle loro rchieste tra le quali il risanamento del debito.
L'Italia è in realtà stata commissariata dall'Europa per una precedente guida politica inappripiata ed irresponsabile.
L'iniqua “regola” di chi ha più rende meno, non è più sostenibile. L'evasione fiscale che riguarda soprattutto le grandi proprietà, i capitali nei paradisi fiscali, sono materia di approfondimento affinchè anche e soprattutto questi inizino a dare il loro contributo allo stesso modo di come hanno da sempre dato i “soliti noti”.
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