Sale la febbre del vincitore a pochi giorni dalle tanto attese elezioni politiche. Non è ancora detta l’ultima parola su chi sarà alla fine a spuntarla e, in questo clima, ognuno gioca l’ultima carta.
Pur guardando la situazione da un punto di vista oggettivo e rispettando le tanto invocate leggi della par condicio, il giocatore migliore in zona Cesarini rimane lui, l’immancabile Silvio Berlusconi. E la metafora calcistica non è a caso: pare che l’acquisto di Balotelli da parte del Milan abbia riconquistato consensi insperati al Pdl, così come la nuova e sincera storia d’amore con la fidanzata –i più maliziosi sorrideranno pensando al divario, o meglio all’abisso, anagrafico che li divide, ma si sa, l’amore non ha età- e gli scatti che lo immortalano a giocare con il cane. Popolo sentimentale, quello italiano! Non vanno poi dimenticate le promesse economiche e politiche –perché, dicono i politologi ben informati, una campagna elettorale dovrebbe parlare di politica: «Restituiremo l’IMU!» «Riformeremo la magistratura!» «Taglieremo le tasse». Terra Promessa che dice di aver avvistato dal 1994, da quando fondò Forza Italia; forse un giorno la mostrerà anche a qualcun altro. L’unica certezza è che quando è Berlusconi a parlare, lo show sarà di successo.
Uno show è anche quello di Beppe Grillo, che almeno ha il pregio di tenere i suoi discorsi nelle piazze d’Italia, e non all’interno del cerchio magico, pardon, chiuso di conferenze dove ad ascoltare sono solo gli iscritti al partito di chi parla. Sempre i politologi ben informati, ricordano di un tempo in cui infatti il dibattito politico era aperto a tutti; loro dicono di averlo visto. Io, nata nel 1987, quantomeno non me lo ricordo. Grillo raccoglie i consensi degli italiani perché parla dei veri e gravi problemi a cui tutti i giorni devono far fronte, è probabilmente il megafono di risonanza non solo del Movimento 5 Stelle, ma di tutti i malumori della nazione. La domanda è se oltre come cassa di risonanza potrà funzionare come attivo protagonista della scena politica e se il rischio non sia una deflagrazione dagli effetti distruttivi della rabbia, più che una costruttiva via di riforma.
Certo anche i più pacati perdono le staffe durante gli ultimi giorni di campagna elettorale, perfino il nostro attuale inappuntabile Presidente del Consiglio. Lui, che presenta la sua candidatura come una scelta di responsabilità da cui era impossibile esimersi, si trova a dover parare colpi bassi e attacchi alle spalle e finalmente si appropria dei tecnicismi del linguaggio politico: «cialtrone», «il mio governo ha fatto cose ottime, quello che non si è potuto fare va addebitato unicamente alla situazione lasciata dal precedente governo». Non ancora ai livelli a cui gli italiani sono abituati, ma è un inizio che lascia speranzosi. D’altronde, lui che vuole riformare completamente la classe dirigente italiana, si trova affiancati Casini e Fini: due esperti maestri, da cui certo potrà imparare.
Ci sono poi le nuove formazioni nate tutte da uomini che credono nel bisogno del bipolarismo e credono che sarebbe bellissimo, ma non è possibile nell’attuale situazione italiana –e tutti ci chiediamo se prima o poi qualcuno punterà sul presente e non su un futuro ancora invisibile, quasi la Terra Promessa di Berlusconi: Fratelli d’Italia, Rivoluzione Civile, Fare per fermare il declino e questa lista aggiungere anche la risorta Lega Nord, per citare le più popolari. Chi scrive sa bene che questo del bipolarismo è un argomento spinoso, per usare un termine molto in voga in questo periodo, e che ognuno degli interpellati avrebbe da rispondere a suo modo: possiamo solo immaginare i «Noi rimaniamo nella coalizione di centrodestra», «Noi in realtà non siamo mai stati a favore del bipolarismo», ed è forse bene finirla qua.
Resta il Pd. Il partito che sembrava dover essere il vincitore assoluto: una partita vinta in partenza, per loro, queste elezioni. E adesso? Ad un soffio dal traguardo i venti contrari si fanno sempre più forti, e Bersani è costretto a giocare in difesa, dicendo che non bisogna sottovalutare Berlusconi e il PdL, che è normale che la scena venga domina prima da un contendente e poi da un altro, che riuscirà a mediare tra Vendola e Monti in caso di alleanza dopo il voto, che è l’ultima ancora di salvezza per il futuro dell’Italia… Se vittoria sarà, così sarà vittoria al ribasso.
Questa è la condizione. Certo la fotografia che ne è stata data in questo articolo la colora coi toni e le sfumature del sarcasmo. Ma sincera rimane la necessità di una politica che (ri)abitui gli italiani a votare il pensiero che ispira il partito e il contenuto del progetto di governo e non chi meglio riesce a destreggiarsi tra performances televisive e battute, tra chi trova l’offesa più divertente e chi la spara più grossa. Sinceramente ci uniamo alla speranza di Battiato in un confronto politico in cui non si guardi all’avversario come a qualcuno che non merita neanche rispetto per le idee che propaga, ma come ad un avversario la cui levatura imponga di togliersi il cappello. Sinceramente ci saremmo augurati una campagna elettorale diversa, ma continuiamo a sperare che queste lezioni portino finalmente ad una politica di contenuti. D’altronde, sempre i soliti politologi ben informati, dicono che nelle democrazie che funzionano si fa così.
Simona Mariucci/ DEApress
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