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Mogwai live al Festival Infortezza

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Se pensate che il periodo d’oro del post-rock sia ormai alle vostre spalle, state attenti a non dirlo ai Mogwai: Stuart Braithwaite
e compagni potrebbero stordirvi con una scarica di feed-back in pieno volto, proprio come è successo sul finire del concerto che hanno tenuto a Firenze nell’ambito della rassegna musicale “Infortezza”. 
I cinque scozzesi si presentano sul palco con puntualità britannica, nelle consuete vesti di anti-divi del rock: jeans, t-shirt, sciarpe del Celtic di Glasgow in bella mostra, così come le loro pancette e anche qualche ampia stempiatura esibita sul palco senza il minimo timore. 
L’energia è quella dei tempi migliori, e chi si aspettava una band stanca e demotivata dopo le fatiche dell’ultimo “The Hawk Is Howling”, album che non ha convinto proprio tutti, forse perché uscito troppo in fretta dopo lo stupendo “Mr.Beast”, sarà costretto a ricredersi in tutta fretta. 
La mastodontica onda d’urto di “We’re no here”, l’impietoso attacco di “Glasgow Mega-Snake” ed il terrificante ed inesauribile scroscio di feed-back finale, potrebbero riassumere meglio di mille parole questo concerto, che in molti qui a Firenze aspettavano con curiosità e trepidazione. 
Tutto come previsto: a qualcuno forse sanguineranno ancora le orecchie per gli esagerati volumi e per la mastodontica “prova di forza” che ci ha offerto il gruppo scozzese.  
Guai però a pensare che i Mogwai si giochino tutte le loro “carte” perdendosi tra rumore, delay e riverberi: questi spavaldi musicisti riescono ad essere anche tremendamente romantici, grazie ai tasti di un pianoforte che regala fin da subito sobbalzi e brividi dietro la schiena e tocchi di chitarra che partono lievi, quasi impercettibili, per poi intrecciarsi tra loro con naturalezza ed iniziare a crescere di intensità, gradualmente, fino all’inevitabile deflagrazione finale.
Difficile scatenarsi o più semplicemente “pogare” durante un concerto dei Mogwai, l’unico movimento che viene concesso è quello del piede che batte su e giù in sincronia con la testa: è come se questi ragazzi intrecciassero una loro personale ragnatela canzone dopo canzone e poi la gettassero in mezzo al pubblico, per contenere i loro sussulti più scriteriati. 
Il punto di forza dei Mogwai non è solo il grande affiatamento che li ha uniti e fatti maturare negli anni, ma soprattutto la loro capacità di saper essere impetuosi e violenti come il mare in tempesta e un attimo dopo smorzare i toni e diventare languidi e romantici come una lacrima che scivola via sulle labbra. Rumore che non è frastuono, ma arte musicale e a tratti sfiora la poesia. 
Così due ore scivolano via in fretta, perdendosi dentro ad un granitico ed inesauribile intreccio di riverberi e distorsioni che non smetteranno mai di rincorrersi tra loro, interrotte soltanto da improvvise e fugaci bolle di “spleen”. 
Giusto il tempo di chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare in una dimensione emozionale unica, che questi maestri del post-rock riescono a costruire con grande abilità, mirabile tecnica e chirurgica precisione. 
 
 
 
Massimiliano Locandro

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Ultimo aggiornamento ( Martedì 11 Agosto 2009 13:51 )  

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