Il senatore Maurizio Gasparri (Forza Italia) ha depositato una proposta per modificare l'articolo 1 del Codice Civile, in modo da riconoscere "capacità giuridica" al feto e dunque considerarlo come una persona fin dal concepimento. Si tratta dell'ennesimo tentativo della politica conservatrice di limitare i diritti delle donne, imponendo un controllo stretto sul loro corpo e sulle loro scelte in nome di un male interpretato "diritto alla vita". Nonostante esponenti di Fratelli d'Italia (ad esempio Donzelli) abbiamo detto che il DDL certamente non verrà approvato, il fatto che tale legge venga depositata in parlamento - ancora prima della formazione del governo - non fa che confermare le preoccupazioni che le associazioni femminili e femministe hanno sollevato nei mesi della campagna elettorale, e ci porta dunque a pensare che i prossimi anni vedranno un attacco a tale diritto, sulla scorta, anche, della sentenza della Corte Suprema USA.
C'è da dire che, in Italia, la limitazione del diritto all'aborto è un problema diffuso e persistente, si assiste ad uno sfruttamento delle concessioni e dei vuoti legislativi determinati dalla legge 194: il 64 % dei ginecologi italiani si dichiara obiettore di coscienza (dati del Ministero della Salute- 2022), ma in certe regioni la percentuale supera l'80%; ciò crea l'impossibilità materiale per molte donne di esercitare questo diritto, a meno di non affrontare lunghi e dispendiosi viaggi. Caso estremo (o forse esemplare) è quello delle Marche, governate da Fratelli d'Italia, in cui il consiglio regionale ha implementato politiche attive per impedire o almeno rendere difficoltoso l'accesso all'aborto; in Piemonte, d'altro canto, si è assistito all'istituzione di "processi di accompagnamento individualizzati finalizzati alla promozione del valore sociale della maternità": idea lodevole in linea di principio, ma che si tramuta, nella pratica, in un'attività di propaganda e di convincimento volta ancora una volta a ostacolare l'esercizio di un diritto facendo leva sulla fragilità, sulla vergona e sullo stigma sociale.
Se, di fronte a questi tentativi e a queste limitazioni, le associazioni di donne come "Non Una Di Meno" auspicano un superamento della 194, nel senso di un ampliamento del diritto all'aborto (e tante cose potrebbero essere fatte: potenziamento dei consultori, gratuità della pillola abortiva, adozione del modello scandinavo, in cui gli obiettori vengono individuati già durante il percorso universitario e invitati a non prendere la specializzazione in ginecologica, ecc.), la situazione nazionale porta piuttosto a pensare che i prossimi anni dovranno essere dedicati a una strenua difesa dello stesso con una lotta contro la regressione in atto, che porti alla salvaguardia della salute e della vita di donne in carne ed ossa, e del loro diritto di autodeterminazione.
Si tratta di uno dei molti aspetti che mostrano la regressione politica in atto. Il diritto all'aborto è oggi sotto attacco diretto perché la sua abolizione rappresenta un punto focale delle ideologie conservatrici e cattoliche, ma da questo attacco si può anche trarre una deduzione più generale: nessun diritto acquisito è intoccabile, ognuno di essi deve essere difeso strenuamente. E, mentre dal palazzo arrivano notizie allarmanti, è necessario che la cittadinanza di muova, alla difesa di ciò che le spetta. Altrimenti non rimane altro che la regressione.
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