Dopo il rave che si è tenuto a Modena lo scorso weekend, il governo ha deciso di intervenire tempestivamente con un decreto legge per contrastare tali feste illegali, che prevede una reclusione tra i 2 e i 6 anni e una multa dai 1.000 ai 10.000 euro per gli organizzatori e pene minori per i partecipanti di raduni che minano "ordine pubblico, incolumità pubblica e sanità pubblica".
A nostro parere, il decreto legge apre a due tipi di riflessione.
Da una parte c'è l'aspetto legislativo: oggi Il Foglio ha pubblicato un'intervista a Tullio Padovani (docente emerito di Diritto Penale alla Sant'Anna di Pisa), in cui il decreto è descritto come una caso di "analfabetismo legislativo" in cui i concetti di ordine, incolumità e salute pubblici "restano nozioni vaghe, vaghissime" che dovranno essere riempiti di volta in volta dall'interprete e da chi dovrà applicare il decreto. In altre parole, questa vaghezza consente di utilizzare il decreto non solo per reprimere le feste illegali, ma anche per colpire le occupazioni di scuole ed università, o qualsiasi tipo di manifestazione. Si tratta dunque di un decreto che, sia per volontà del legislatore o per pigrizia, stabilisce una norma che potrà essere sfruttata per comprimere e reprimere il diritto di protesta sancito dalla Costituzione. In questo senso, valgono poco le rassicurazioni del Ministro dell'Interno Piantedosi, che assicura che il decreto non troverà applicazione in altri contesti: così scritto, il decreto rappresenta un primo preoccupante passo della linea securitaria che questo governo vuole intraprendere, che passa dalla repressione del dissenso in nome di concetti astratti come ordine, incolumità e sicurezza. Da questo punto di vista, non possiamo che aspettare la discussione in Parlamento, dove, data la maggioranza della destra, il decreto verrà probabilmente convertito in legge, ma possiamo sperare che esso venga emendato con precisazioni sugli aspetti più preoccupanti.
Dall'altra parte, c'è un aspetto che potremmo dire personale: chi vi scrive non ha mai partecipato a rave di tale portata, ma ha conosciuto ragazzi e ragazze che lo hanno fatto con frequenza e che a volte hanno aiutato nell'organizzazione. Parlare con queste persone permette di capire che quella dei rave è una vera e propria sottocultura: se è vero che in tali contesti sussiste un problema di illegalità e di uso di sostanze, è ingiusto tacciare tutti i partecipanti come drogati o scappati di casa quando, molto spesso, si tratta di persone comuni che si riuniscono in luoghi popolati di manifestazioni artistiche e musicali e che, soprattutto, tentano di ripensare la socialità anche in un senso politico, contrastando un mondo in cui si è costretti a passare anchje il tempo libero in luoghi sempre più privatizzati, esclusivi e costosi. Ottimo esempio di ciò sono le T.A.Z. (zone temporaneamente autonome), vere e proprie occupazioni-lampo sostenute da una teoria e da una pratica politica, in cui la festa diventa un pretesto per la manifestazione di un disagio, la discussione sui modi della nostra socialità e il dibattito sulla creazione di nuove forme culturali ed artistiche. nonché di una forma di festeggiamento che sia collettiva e collettivizzata, non controllata da nessuna istituzione o da nessun privato.
Qui, naturalmente, non si vuole negare gli ovvi problemi che i rave causano e hanno causato in passato, ma soltanto invitare a non fare di tutta l'erba un fascio, e a capire che tali eventi sono frequentati da persone di tutti i tipi, che possiamo incontrare ogni giorno nelle vesti di impiegati, studenti, operai. La presenza di droga in tali contesti è sì preoccupante, ma bisogna anche capire che le sostanze girano e vengono utilizzate in ogni contesto, anche nelle feste più ricche e borghesi, e che l'equazione secondo la quale chi partecipa a tali feste è necessariamente un drogato e un perdi tempo è grossolana ed errata.
In conclusione, reprimere tali eventi può sembrare giusto e doveroso per il sentimento comune, ma per noi rappresenta un primo passo, volto a schiacciare una comunità facilmente individuabile e poco conosciuta dal grande pubblico, tramite un decreto che si può estendere facilmente ad altri contesti, ad altre comunità, ad altre culture. La grande preoccupazione sta dunque nel fatto che, tramite questo decreto legge, il governo utilizzi un pretesto sentito come doverso per fornirsi di una norma di larga applicazione, illiberale e contraria al diritto di manifestazione.
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