Fino al 15 luglio il Centro di Cultura contemporanea di Palazzo Strozzi ospita la mostra “Americans Dreamers, realtà e immaginazione nell’arte contemporanea americana” a cura di Bartholomew Bland, direttore dell’Hudson River Museum, in collaborazione con il Comune di Firenze e con il patrocinio del Consolato Generale degli Stati Uniti d'America a Firenze.
Un viaggio attraverso l’immaginario collettivo americano che catapulta il visitatore in quella dimensione dal sapore del mito e del racconto che dal lontano 1600 accompagna l’American Dream. A distanza di più di mezzo secolo la chimera del sogno americano continua a sorvolare il grande continente nonostante sia stata, soprattutto negli ultimi decenni, profanata dagli efferati attacchi dell’11 settembre 2001, dalla crisi del mercato immobiliare, dei mercati finanziari e dal crack della Lehman Brothers.
La mission americana dei padri pellegrini del XVI secolo, la costituzione di una società fondata sul progresso e su quei diritti naturali racchiusi nel Mayflower Compact del lontano 1620, si sono insediate nelle trame del tessuto sociale alimentando quella vocazione a guidare il mondo verso la libertà e la felicità.
Una missione globale che nonostante i cambiamenti e il passare degli anni sembra non voler abbandonare il popolo americano.
“Americans Dreamers” propone, come testimonianza di un sogno che continua a voler essere realizzato, una rilettura originale della società odierna che davanti alla crisi del mondo occidentale ha dovuto riconoscere i propri errori e allo stesso tempo ricreare un’alternativa migliore che preservasse quei principi di felicità e benessere perseguibili da ogni individuo.
Undici artisti -Laura Ball, Adrien Broom, Nick Cave, Will Cotton, Adam Cvijanovic, Richard Deon, Thomas Doyle, Mandy Greer, Kirsten Hassenfeld, Patrick Jacobs, Christy Rupp- esprimono, attraverso tecniche e materiali diversi, la loro personale visione della civiltà attuale a stelle e strisce come reazione ai meccanismi economici e sociali del sistema globale, come critica o come creazione di mondi fantastici e surreali dove poter recuperare l’insieme dei valori tradizionali.
Adam Cvijanovic ci catapulta in una tipica farm americana; il dipinto avvolge tutte le pareti catapultandoci all’interno di esso, all’interno di quelle case dalle linee tutte uguali e dai tetti spioventi in cui la famiglia americana trova rifugio ma che, da un momento all’altro, potrebbero trasformarsi in una haunted house in cui il focolare protettivo è messo in pericolo.
Will Cotton rimarca i tratti di una società costruita sulle fantasie consumistiche del settore alimentare in cui i prodotti dolciari si insidiano nell’immaginario collettivo attraverso campagne pubblicitarie, produzioni editoriali e cinematografiche come nella celebre pellicola “La fabbrica di cioccolato”. Grandi tele che uniscono ad un’estetica rococò tocchi tipici della cultura popolare: grandi e candide nuvole di zucchero filato sulle quali si distendono giovani corpi di donna tra cui quello della giovane cantante pop americana Katy Perry; case di marzapane, cioccolato e soffici marshmallow che stuzzicano il gusto.
Cotton Candy Katy, 2010
Oil on linen -183 x 214 cm
Courtesy the artist and Mary Boone Gallery, New York
Nick Cave con i suoi “Soundsuits”, vere e proprie sculture indossabili in tessuto colorato e decorate con lustrini e bottoni, sembra voler far appello all’immaginazione, recuperando la dimensione fantastica e quel senso di libertà di cui, a volte, l’individuo ne è privato.
Se la casa rappresenta il luogo sicuro della famiglia americana, Thomas Doyle ci restituisce una dimensione apocalittica che riflette lo spettro della paura e dei pericoli sociali; racchiuse all’interno di cupole di vetro le case di Doyle sono sradicate dalle loro fondamenta, sospese in aria come a simboleggiare la precarietà della condizione umana e la sconsacrazione di quel senso di controllabilità che la società odierna ha la pretesa di esercitare sulla natura.
La tecnica del diorama è utilizzata anche da Patrick Jacobs; una sala apparentemente vuota ci invita a scoprire cosa essa racchiuda. Ed ecco che attraverso una serie di lenti circolari convesse si aprono paesaggi minuziosamente ricostruiti che si estendono oltre un orizzonte che il visitatore può osservare solamente dall’esterno come conseguenza di un voyeurismo dilagante che spesso ci limita ad essere unicamente degli spettatori.
Laura Ball ricorre alla dimensione mitica dei sogni per scacciare le ombre che si estendono sulla società americana contemporanea. Il sogno è il luogo sicuro dove l’individuo può rifugiarsi, il luogo in cui il subconscio trova la sua massima espressione e dove il soggetto -come lo stesso Gustav Jung ci ha insegnato- recupera il suo “io inconscio” attraverso l’associazione di immagini legate alla dimensione del mito e delle fiabe. Utilizzando la tecnica dell’acquarello Laura Ball ci mostra soggetti altamente complessi in cui figurano uomini e donne con maschere di animali, circondati da scimmie, cani e serpenti che, secondo la tradizione sciamanica degli Indiani d’America rappresentano il mezzo che consente di traghettare tra la dimensione reale e quella spirituale.
Ulteriore critica alla società dei consumi, all’indomabile sfruttamento della natura, alla velocità del nostro tempo incarnata dai tipici fast food americani, ci viene proposta da Christy Rupp che porta in mostra ricostruzioni reali di polli e tacchini ricreati mediante il recupero minuzioso di ossa richieste direttamente alle catene di distribuzione. Un’installazione che ci invita a riflettere sulle dinamiche di una società in balia dei meccanismi automatici e incontrollabili della globalizzazione e del consumismo.
A completare l’esposizione “American Dreamers” l’installazione di Mandi Greere ci catapulta in un mondo surreale strettamente connesso alla natura. Entrando nella sala abbiamo la sensazione di attraversare una foresta fantastica: i drappeggi creati attraverso la tecnica dell’uncinetto recuperando materiali della produzione industriale come stoffe e bottoni ci avvolgono all’interno di una dimensione mitologica.
Se la recente crisi del mondo occidentale ci riporta con i piedi per terra costringendoci a lasciare da parte fantasie e realtà utopiche, prendendo coscienza di ciò che l’uomo ha saputo sapientemente costruire ma anche distruggere, l’American Dream continua a far sentire la propria voce attraverso moderne declinazioni artistiche che racchiudono in sé nuove prospettive e un’attenta rilettura critica della civiltà d’oltre oceano.
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