“A CIELO APERTO”: RIMA MAROUN E LA NUOVA BEIRUT - MOSTRA FOTOGRAFICA A MONTPELLIER
“Per me una fotografia è una superficie che cela qualche cosa che posso sentire, vedere e toccare a cui però non riesco a dare una definizione. Ho l’impressione che un’immagine nasconda, dietro una prima occhiata, un’altra immagine che ci rimanda ad un’altra ed ad un’altra ancora fino a raggiungere la sua ossatura. È la ricerca di questa ossatura che più mi ossessiona.”
Rima Maroun, figura centrale della giovane generazione di artisti libanesi, vincitrice del premio “Dialogo attraverso l’arte” Anna Lindh 2008, definisce così la sua passione incolmabile per la fotografia, per quel supporto tecnico, l’obiettivo della fotocamera, attraverso cui riesce a “trasgredisce le frontiere e a risveglia le coscienze”.
Si è chiusa ieri, parallelamente alla 32° edizione di “Montpellier Danse”, manifestazione artistico-culturale dedicata all’arte della danza e al movimento, l’esposizione fotografica dell’artista libanese “À ciel ouvert” (A cielo aperto).
La mostra riunisce una serie di fotografie scattate a Beirut, la città di Rima, il polo nevralgico dello stato nord africano, il campo di battaglia della guerra civile libanese che per quindici lunghi anni ha investito le sue strade, i suoi palazzi, il suo popolo.
A distanza di ventidue anni la capitale del Libano è al centro di un imponente processo di ricostruzione che sembra voler riscattare gli anni più bui della sua storia. Ed è proprio all’interno di quelle strade segnate, in un tempo non molto lontano, dal peso dei carri armati cingolati ed oggi attraversate dai bulldozer delle imprese edilizie, che si infiltra l’obiettivo di Rima Maroun pronto a catturare gli elementi più significativi di una città in ricostruzione.
Una serie di scatti che mostrano il contrasto tra l’urbanismo moderno di questi ultimi anni e un terreno che custodisce le memorie di un popolo che ha conosciuto il volto dei bombardamenti, della devastazione, del dolore.
“All’interno della mia terra si ritrovano la storia di diverse civilizzazioni, di guerre recenti e passate; oggi, una folla corsa ricostruttiva devasta la città, le strade sono in evoluzione, gli spazi aperti vengono rinchiusi sotto il peso massiccio del cemento, la terra è rimodellata, sviscerata, scavata”.
Rima Maroun cerca quindi di restituirci un’immagine viva di quella terra, di quel sottosuolo sul quale sorgono e sorgeranno le nuove costruzioni, di quel vuoto aperto che custodisce il passato ed è pronto ad accogliere il presente.
E’ un bisogno urgente quello di Rima Maroun, una necessità che la spinge a mostrare questa frattura tra il basso e l’alto: in alto la città, in basso il passato su cui riposa.
Qual è il legame che stabiliamo con il passato? Qual è la giusta distanza da prendere da esso per ricostruire l’avvenire?. Le fotografie di Rima sembrano voler trovare questa risposta e coinvolgere lo spettatore in questa ricerca: “piazzo la macchina fotografica al centro del mio corpo, mi posiziono sulla linea di separazione tra l’alto e il basso della città con il corpo sospeso di fronte ad essa. In questo modo invito lo spettatore a condividere questa esperienza di vuoto”.
E il vuoto, rappresentato nelle sue fotografie dai cantieri edilizi dove ben presto sorgerà la nuova città, sono, secondo Rima, i “contenitori” del passato, dei ricordi, della storia di Beirut, di un volto che porta con sé le cicatrici del conflitto.Venti metri di profondità separano il vecchio dal nuovo, venti metri che verranno riempiti da colate di cemento che daranno forma alle nuove costruzioni. Quando i nuovi palazzi sorgeranno ci sarà ancora il tempo e la volontà di ricordare?
I cartelloni pubblicitari lungo la strada -“A sense of contemporary, Luxury apartment”, “A refined way of life”- sembrano voler dire tutt’altro quasi a voler rievocare il mito americano della casa, di quel luogo dove la famiglia è al sicuro ma che, come le Haunted house ci raccontano, svelano il loro lato più oscuro dove si nasconde lo spettro di una città che, come Beirut, porterà sempre con se i segni di quel lungo periodo buio.
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