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"Salviamo Firenze"?

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La città di Firenze è ancora un’originale oppure si è tramutata definitivamente - ahi, la ‘maledizione’ della riproducibilità tecnica - in una copia? In una semplice icona pop? Nella più strabiliante macchina da sogni che si sia mai vista all’opera?
Sembra essere questo il senso ultimo di un libro mandato da poco in libreria da Bompiani, a firma di Luca Doninelli.
E “Salviamo Firenze” più che un titolo, quale effettivamente è, sembra essere un grido di dolore. O forse un pacato lamento, magari un desiderio inespresso. Perché a poco a poco durante la lettura, e a ben guardare, Firenze trascolora, svanisce lentamente. Si scompone in tanti segni sciolti, liberati uno dall'altro e mandati in giro per il mondo spuri, solitari, senza meta.
Cavalcando citazioni da ogni dove, chiamando a raccolta cenni biografico-storici, personaggi inevitabili e futuri possibili, il libro traccia percorsi lunghi e tortuosi tra tante differenti mitologie, tra tante teologie possibili, tra storia e letteratura. Tra le pagine di una bibbia istoriata quel è la storia stessa di questa città.

Così, oltre le provocatorie domande di cui, necessariamente, si fa forza un pamphlet, con l’avanzare delle pagine ecco arrivare alcune altrettanto forti risposte. Talmente forti, così impossibili da sembrare il prodotto di scarico di quella stessa macchina dei sogni di cui si diceva all’inizio. In effetti Doninelli parte da ser Filippo, genio della Cupola e progenitore di quel Rinascimento che cambierà il verso di girare della storia, di quella dell’arte e di quella materiale. Eppure, da quell’inizio, come tutta Firenze, l’autore sembra non riuscire a staccarsi, a decollare. Giriamo con lui intorno ad un vuoto persino quando si rievocano tratti storici novecenteschi che dovrebbero essere vicini, visibili a occhio nudo, e invece compaiono distanti, quasi fuori fuoco.

Perché Doninelli si concentra sulla Firenze-giocattolo, quella che ha una sua ragion d’essere nello sfruttamento turistico e commerciale, dimenticando tutto quel che c’è fuori, attorno, di canto.

Un po’ alla volta, ecco venir fuori un’idea di vetrina, di simbolo, una sorta di rappresentazione mediatica di un nonluogo. Firenze, in quest’ottica, resterà sempre dentro la sua boule de neige.
Nel vortice di tanta forza centrifuga, però, Doninelli riesce a ricucire con un unico filo tutte le cartoline, le magliette, le penne ricordo, i magneti da frigo e quelli da cruscotto, le paccottiglie e le accozzaglie che una città così fotogenica produce di sé e l’icona pop - quella postmoderna che si fa con una bomboletta spray e un tocco da manovale dell’arte - si ricompone magicamente davanti agli occhi del lettore, magari di un lettore avvisato. Più precisamente ancora, di un fiorentino, non di un turista, perché il libro in fondo si rivolge proprio a noi. Agli abitanti di Firenze. Per gli altri, tutti gli altri, è semplicemente un altro libro. Un’altra storia.

Allora, eccolo tentare il percorso turistico per fiorentini facendoci ripercorrere luoghi che riconosciamo immediatamente davanti agli occhi: facile, sono (già) i nostri. Eccolo tentare la via dell’orgoglio, quella dell’amor proprio, di un campanilismo senza nemici. Vale solo quel di Giotto; gli altri campanili, non ce ne vogliano, non possono competere.

Insomma, lungo le pagine si compie un lento procedimento di ricapitalizzazione: Firenze si gonfia di un novello valore aggiunto, di una ricchezza tutta da spendere. All’improvviso, e passando anche attraverso tante chiamate di fede (Firenze città quasi mistica, vien da dire ad un certo punto), questo strano libro si chiarisce meglio, perdendo le piume scure del brutto anatroccolo per fiorire in differenti identità.

Dapprima sembra un programma elettorale che va per la maggiore in queste ultime settimane (!), poi comincia a somigliare al sottotesto di altro libro stilnovista di ben più famosa penna (!) visto che usa medesimi temi ed argomenti e infine, con la postfazione del docente universitario di economia Andrea Simoncini, prende la sua forma definitiva ovvero il manifesto programmatico di ‘Fondazione Florens’.

Finita la lettura, infatti, il libro di Doninelli sembra addirittura un testo su commissione per come sposa la mission di questa fondazione privata che vuole valorizzare l’“identità competitiva dei beni culturali” ovvero, detto in altri termini, stravolgere il concetto di “bene comune” per renderlo invece “bene privato” e profittevole. Firenze (anche) ai privati: vendere-comprare, vendere-comprare avrebbe chiosato Moni Ovadia, da una delle sue esilaranti storielle.

E’ proprio nell’ambito di ‘Florens’, la manifestazione sponsorizzata dalla Fondazione stessa, che si terrà stasera alle ore 18,30 la presentazione del libro, nella Sala d’Arme di Palazzo Vecchio. A chiudere, una domanda che potrebbe essere doninelliana: perché ‘Florens’, vetrina (pseudo)culturale di una Fondazione privatissima che tenta di sfruttare la valenza culturale di Firenze trasformandola in brand commerciale, entra in Palazzo Vecchio che dell’amministrazione pubblica è forse l’icona (pop) più famosa e diffusa al mondo?

Forse è persino troppo banale intuirlo.

(Antonio Desideri)

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Ultimo aggiornamento ( Martedì 13 Novembre 2012 09:39 )  

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