GERDA TARO, LA MUSA ADDORMENTATA
Di Laura Ciampini
Coerentemente con la tradizione ebraica, nessuna foto è presente sullatomba di Gerda Taro, ma ci sono alcune pietre posate sul marmo, che testimoniano la stima delle persone che vanno a visitarla, nel settore dedicato ai rivoluzionari. Talvolta la superficie è sfiorata da un fiore, omaggio a una vita precocemente spezzata.
E’ una sepoltura semplice, eppure è opera del grande maestro Alberto Giacometti, che ha pensato ad un cippo, che ricorda la pietra miliare spagnola sulla quale si abbandonavaGerda, in uno dei più intensi ritratti che le fece Robert Capa. Taro e Capa erano nomi d’arte, lei polacca e lui ungherese, entrambi erano fuggiti a Parigi dopo le repressioni hitleriane contro i comunisti e gli Ebrei. Gerda e Robert si amavano e decisero di partecipare insieme, come reporter di guerra, nel conflitto civile che si combatté in Spagna negli anni Trenta. E si schierarono a fianco di chi difendeva la Seconda Repubblica minacciata dai nazionalisti, guidati da Francisco Franco.Al cippo Giacometti affianca una Măiastra, l’uccello sacro che nelle fiabe popolari rumene è dotato di poteri magici, è in grado di parlare, di trasformarsi, di proteggere gli eroi.L’iconografia ricorda uno dei temi ricorrenti del suo maestro, Costantin Brancusi, ed è sorprendente l’analogia tra labrancusianaMusa addormentata e il volto di Gerda, incorniciato da sottili sopracciglia finemente disegnate. Dorme a PèreLachaise, Gerda, dal 1937, per essere stata travolta da un carrarmato in Spagna, ma il suo non è un sonno tranquillo. La sua tomba è stata più volte profanata, iniziandonel 1942 quando il regime collaborazionista francese, che proprio in quegli anni iniziava la spietata deportazione degli Ebreie inacerbava la campagna contro gli stranieri, cancellò l’epitaffio ispirato dall’elogio funerario, che per lei compose Pablo Neruda. Sarà proprio il poeta cileno, sempre nel 1942, a scriverei versi scolpiti sul monumento funebre di Tina Modotti, un’altra grande fotografa che-come Gerda Taro- aveva partecipato da volontaria alla guerra di Spagna. Destini incrociati di donne che combinarono l’espressione artistica con la necessità di agire e documentare le lotte contro i regimi totalitari.
L’accanimento contro le figure della Resistenza riaffiora nell’Europa del nostro tempo, fomentata dai movimenti neofascisti. Ricordiamo, per esempio, la vernice nera con la quale furono sfregiate, nel 2016, le fotografie presentate nella mostra a lei dedicata a Leipzig, dove Gerda visse fino al 1933, come rifugiata. La rievocazione della figura della reporter era stata pensata proprio nel momento in cui la città si trovava ad accogliere molti profughi siriani, che fuggivano dalla guerra civile. L’atto vandalico ebbe scarsa risonanza mediatica, ma fu chiara la matrice neonazista,la quale protestava contro gli immigrati. Per questo la curatrice della mostra sottolineò la gravità del gesto, che si macchiava di due crimini: antisemitismo e xenofobia.
Gerdae Robert e riuscirono a fuggire dalla Germania nazista, che era in procinto di deportarli prima come dissidenti politici, e poi come ebrei. Ma sappiano i neofascisti -qualunque sia la loro nazionalità- che un uccello fantastico protegge i giovani sinceri e il loro amore.
Invito alla lettura:
Gerda Taro, graphic novel di Sara Vivan del 2019;
La ragazza con la Leica, di Helena Janeczek, 2017, premio Strega del 2018.
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