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Riflessioni sul libro Annamaria e Luca Mantini

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Annamaria e Luca Mantini: Fratelli e sorelle rivoluzionari. AA.VV. - DEA edizioni 
 
Prima di parlare del libro di cui al titolo del presente scritto, occorre fare una premessa e porsi una domanda: Che cos’è la democrazia?
A questa 
domanda tutti pensiamo di poter dare una immediata risposta. In fondo non è forse l’ambito istituzionale entro il quale viviamo ogni giorno? Non siamo forse nati in democrazia e non l'agiamo forse ogni giorno? Ma è come se dovessimo definire cosa è l’aria, sappiamo che ci mantiene in vita e ne possiamo dare solo una definizione chimica ma non una descrizione, se non letteraria ovvero descriverla come l’elemento funzionale e necessario alla vita.
Dunque, il concetto di democrazia è cosa che sfugge spesso, o sempre, alla nostra percezione, e tendiamo ad associarla al diritto di voto. Ma questo diritto, che esercitiamo in sempre minor numero, sintomo della “malattia”, è l’effettivo esercizio della democrazia?
O Democrazia è altro? Democrazia è 
un esercizio di libertà individuale che si esprime nella organizzazione collettiva della società? Come diceva Sartori: “democrazia sono le scuole che funzionano, la sanità per tutti, lo Stato Sociale, l’assistenza…”
Nell’antica Grecia le decisioni, e le elezioni dei magistrati avvenivano nell’Agorà, dove il  popolo, con l' esclusione delle donne, si riuniva e prendeva decisioni importanti nominando di seguito gli esecutori e i curatori di tali decisioni. Nelle attuali circostanze, e nella odierna struttura sociale, sarebbe impossibile esercitare il potere legislativo, o raccogliere la volontà del popolo in riunioni collettive per poi nominare coloro che saranno deputati ad applicare le decisioni. Quindi ci si limita alla seconda parte del percorso democratico, dando per scontata la prima: si eleggono sia i legislatori che gli esecutori, confidando in loro, assumendo per scontato che agiranno sulla base delle nostre necessità, che si esprimono (o si esprimevano, sia pure parzialmente e approssimativamente dal momento che i partiti politici, elementi organizzativi e aggregativi sono quasi scomparsi, almeno secondo la funzione che avevano all’atto della fondazione della Repubblica e prima durante la lotta al fascismo…) attraverso l’adesione a quel progetto politico piuttosto che all’altro. In questo percorso si assume anche, che ogni corrente politica contenga in sé il portato delle soluzioni e dei progetti di cui noi ci faremmo espressione, se fossimo a nostra volta incaricati di esprimerli e realizzarli.
Poi ci siamo dotati, molto tempo fa, di Norme Generali alle quali le leggi dovrebbero ispirarsi e da queste discendere: la Costituzione. Non posso, in questo contesto, entrare nel merito dei dettati costituzionali, e tuttavia è necessario richiamarsi ad essi per meglio comprendere il senso dell storia che il libro, frutto dei ricordi, a volte commoventi, di ex componenti dei Nuclei Armati Proletari, narra dopo quasi cinquant’anni dai loro accadimenti.
Lasciando per un attimo la Costituzione al proprio limbo, contando di tornarci più tardi, veniamo al libro in quanto tale. Nel dipanarsi degli eventi, scritti a più mani, emergono vari motivi e una serie di tensioni e di emozioni. Avendo vissuto in prima persona quegli anni, ma da spettatore, le vicende narrate mi hanno fatto entrare all’interno dei meccanismi, dei retroscena di quelli che furono definiti: "gli anni di piombo".
Come un osservatore privilegiato, trasportato in una macchina del tempo, ho ritrovato intatte le atmosfere, le tensioni, quasi gli odori di quegli anni. Ma diversamente da allora, dentro la storia. Una descrizione in particolare mi ha colpito per la crudezza e realismo, ed è la narrazione della tentata rapina di piazza Leon Battista Alberti a Firenze del 29 ottobre 1974. Narrata da Pasquale Abatangelo e titolata: "Ricordi e considerazioni di un militante dei NAP." Il capitolo, stringato e scritto con un tono asciutto ed essenziale, tanto da rendere assolutamente e totalmente il senso della realtà, proietta il lettore, come in un flashback, nel momento esatto in cui i fatti si stanno svolgendo e ne ripropone, intatte, le sensazioni. Si vivono i momenti, gli istanti, le emozioni di coloro che gli vissero, e i fatti ci travolgonoe e tutto appare in una diversa luce. A questo, e in ogni narrazione, si trovano i momenti di assoluta fratellanza, di dolore, di lotta che determinarono quegli anni fino alla sconfitta finale. Se ne ritrovano anche le motivazioni che, una narrazione ufficiale non ha mai concesso. Si ritrovano i volti di coloro che furono uccisi o arrestati, i nomi dei funzionari di polizia, le strade, le stagioni e i giorni. Uno scrigno di storia nascosta che - e grazie a chi ne ha voluto dare testimonianza - si apre per svelarci i fatti mai narrati. E davvero si scoprono gli eventi da una prospettiva inedita, come l’episodio più drammatico, ovvero la morte di Annamaria Mantini la notte del 8 luglio 1975. Il più tragico perché appare come un' esecuzione, e perché particolare è la figura della vittima, Annamaria, le cui motivazioni alla lotta, l'assoluta limpidezza dell’animo e delle scelte, per quanto esse possano, alla luce del tempo trascorso, apparirci non condivisibili, fanno di lei una vittima quasi predestinata, termine che probabilmente Annamaria rigetterebbe.
Il libro affonda la narrazione, sempre grazie al taglio memorialistico del tutto limpido e vero, privo di sbavature e ridondanze o nostalgie, eppure profondamente commovente e drammaticamente umano in certe sue parti, nella storia, nell’antefatto. I motivi della lotta, gli eventi che costellarono il percorso di tanti giovani, le ferite mai rimarginate frutto di una società che loro non accettavano e che respingevano fino a scontrarsi con essa, appaiono evidenti in tutta la loro drammatica chiarezza. Non c’è apologia nel libro e nemmeno la ricerca di una giustificazione o il rigetto di un periodo della loro vita. C’è soltanto il narrato. Il lettore vorrà, se vorrà, trarne le conclusioni e le considerazioni che preferisce. Noi che leggiamo possiamo solo sentire il dolore della perdita degli amici più cari, certo per scelta di vita ma non per questo, meno drammatico è stato l’evento. Possiamo osservarne i momenti vissuti, aspri, duri, senza quella che noi consideriamo tenerezza, ma con quella che loro vissero come tenerezza, e ce lo spiegano, ci accompagnano dentro sentimenti ed emozioni. E questo viaggio merita di essere vissuto!
Questo viaggio nelle “ragioni” dei vinti, nella loro vita quotidiana, nelle dinamiche emotive delle loro esistenze e di ciò che li spinse ad accettare di rischiare tutto. E allora poniamoci adesso questa domanda, o proviamo a porcela: cosa li spinse? Ci scuseranno coloro che vissero da protagonisti gli eventi narrati se noi, che viviamo sicuri nelle nostre tiepide case, facciamo questo esercizio retorico e parliamo di loro, e della loro storia con apparente distacco intellettuale, ma questo vuole essere un contributo alla verità. I fatti sono ormai storia, e la storia non può essere riscritta. Pertanto, ne accettiamo il verdetto, per quanto si sia coscienti che essa la scrivono i vincitori, benché conserviamo i nostri argomenti che il libro su Luca e Annamaria conforta e sostiene. Ma se vogliamo rendere omaggio alla verità, se la verità è, nel tempo dell’inganno universale l’atto più rivoluzionario, come diceva George Orwell, allora ci sentiamo obbligati a perseguirla. E dunque la domanda ce la torniamo a porre: cosa si proponevano di fare? Cosa volevano i giovani che hanno scritto il libro e quelli che sono caduti prima? Una società diversa. Questa è la risposta ovvia. Ma a ogni risposta ovvia segue un’ovvia domanda?
Perché volevano una società diversa? Ché questa forse non è quella giusta? Non è questa la società per la quale la Resistenza ha combattuto? Non è questa la società per cui ci sono state le stragi fasciste dal 1943 al 1945? Non è forse questa la società che ha creato la presente Costituzione? E questa, la Costituzione, non è applicata forse? Non ha dato le risposte che tutti ci aspettavamo?
Non viviamo noi nel giusto, nell’equo, nel diritto, in quel diritto in cui siamo davvero tutti uguali?
Noi sappiamo che la società li ha condannati. La legge li ha condannati ed essi hanno pagato e stanno pagando ancora. Hanno impugnato le armi e le hanno levate contro altri uomini, e questo non è il metodo giusto per avere una giusta società. Ma restano sospese e senza risposta le domande soprascritte, e anche altre: Il metodo li ha portati alla sconfitta e la legge li ha puniti col plauso di tutta, o quasi, la società. Ma questa società è quella che tutti vogliamo davvero? E se il metodo non fu giusto, l’obbiettivo lo era?
E se il metodo non fu giusto: quale metodo è giusto per raggiungere una società migliore posto che questo sia possibile?
Attendiamo, come se non avessimo atteso abbastanza, ancora le risposte.

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Ultimo aggiornamento ( Venerdì 28 Maggio 2021 11:05 )  

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