Se c'è una cosa che colpisce delle proteste in Iran, oltre ovviamente alla loro durata, è la loro trasversalità. La loro forza, infatti, è principalmente dovuta alla partecipazione della maggioranza della popolazione, soprattutto la parte più giovane e, significatvamente, la parte maschile, comprendendo che la liberazione femminile sia il primo, fondamentale, passo per acquisire diritti e libertà in tutto il paese.
La morte di Mahsa Amini, la ventiduenne uccisa mentre era in custodia della polizia morale, non è stata altro che la scintilla di una protesta sopita da tempo, in un paese in cui le fasce più povere della popolazione devono sopportare non solo le consguenze della crisi economica causata dall'isolamento internazionale del paese, ma anche la repressione dei diritti civili in nome di un'interpretazione conservatrice della Sharia. Il regime è ben cosciente di tutto ciò, e non a caso molti osservatori hanno visto nelle prove di forza di queste ultime settimane un tentativo di correre ai ripari, di sgonfiare le proteste attraverso le minacce.
Il motivo, alla fin fine, è semplice: si tratta di un tipo di protesta che il regime conosce molto bene, dato che è proprio in una maniera simile che esso salì al potere a fine anni '70
Al momento, ci sono 109 manifestanti in attesa della condanna a morte. La maggior parte di loro ha tra i 20 e i 30 anni, alcuni sono minorenni. Nonostante le condanne siano al momento sospese, il governo le sta utilizzando per spaventare sia i manifestanti che la comunità internazionale, in una prova di forza che ha avuto, in un caso, l'effetto di radicalizzare le proteste e, nell'altro, quello di alienare ogni possibile appoggio dei paesi vicini, anche quelli politicamente e culturalmente affini. Ad esempio, i talebani in Afghanistan, che nell'ultimo anno si sono impegnati in una forte repressione dei diritti delle donne e nell'istaurazione di un regime teocratico del tutto simile a quello iraniano, si sono trattenuti dal pronunciare un qualsiasi supporto diretto al regime, proprio per non inserirsi in quella che ormai sembra proprio una spirale verso il tracollo.
Assieme ai condannati già discussi, si contano 88 giornalisti arrestati nel paese dall'inizio delle proteste, con l'unica colpa di averle documentate ed aver fatto circolare le immagini all'estero, e la più recente Fatwa contro Charlie Hebdo, la famosa testata satirica francese, notoriamente avversata dal mondo fondamentalista musulmano almeno dall'attacco dell'ISIS del 2015.
FERMIAMO QUESTE STRAGI DI GIOVANI!
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