Marie Colvin
Quello di Marie Colvin, veterana del giornalismo internazionale, è l'ennesimo nome che compone la lunga lista delle inviate di guerra che hanno perso la vita. L'abbiamo conosciuta grazie ai suoi innumerevoli reportages di guerra dalla Cecenia, dall'Iraq, dal Kosovo, dallo Zimbabwe, dalla Palestina e dalla Libia. Marie era considerata una delle più coraggiose corrispondenti estere della sua generazione, una giornalista il cui ardore nella ricerca della verità prevaleva sulla paura della morte.
Non a caso, quello che i colleghi ricordano di lei è, in particolar modo, il suo essere sempre in prima linea, sempre disposta ad addentrarsi nei luoghi più pericolosi e impossibili, la prima ad arrivare e l'ultima ad andarsene.
Marie era fermamente convinta che per poter raccontare con accuratezza e senza pregiudizi le condizioni dei civili nelle zone di guerra, bisognasse necessariamente viverle in prima persona: mangiare quello che loro mangiavano, dormire dove loro dormivano, bere quello che loro bevevano. Ma quello che probabilmente la avvicinava di più a tutte quelle anime profondamente segnate dagli orrori della guerra, era la consapevolezza che un altro giorno vissuto era un altro giorno che la morte le aveva risparmiato.
La benda nera in "stile pirata" che portava dal 2001, quando in Sri Lanka una granata le aveva portato via un occhio, la rendeva immediatamente riconoscibile. "Me ne basta uno per raccontare il delirio del mondo", diceva. E proprio come un "delirio" Marie descriveva il terribile conflitto in Siria, che considerava il peggiore a cui avesse mai assistito, e che sarebbe stato l'ultimo che avrebbe vissuto.
Marie venne uccisa insieme a Remi Ochlik, fotoreporter francese, il 22 Febbraio 2012 durante un assedio ad Homs. La sua storia sarà una delle protagoniste dello spettacolo "Oltre il reportage: scrittura e giornalismo", a cura del gruppo di lavoro DEAteatro.
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