Pubblichiamo integralmente un articolo uscito su Senza Soste, un foglio controinformativo livornese (dal numero 15):
"Per molti era ormai un dato di fatto che la morte dell’ispettore Raciti fosse avvenuta per il lancio di un oggetto da parte di un ultras catanese con la conseguente emorragia mortale al fegato. Per tre mesi le inchieste, gli atti processuali, gli interrogatori sono stati coperti dall’omertà e dalla retorica, cioè gli elementi giusti per poter covare nelle stanze del potere un decreto anticostituzionale che blinda gli stadi e cerca di dare un po’di fascino repressivo ad un governo zoppicante a cui non resta che curare l’immagine visto che per i contenuti serve ben altro coraggio.
Ma vediamo gli eventi delle ultime due settimane che ridisegnano i fatti realmente accaduti e che tuttavia sembrano marginali rispetto al vero obiettivo del governo: la resa dei conti con il mondo ultras.
3 aprile: il Senato, con un grosso mal di pancia, approva il decreto sugli stadi. Amato scende in campo direttamente, chiedendo in maniera esplicita l’appoggio di tutti i partiti di maggioranza per non far decadere il decreto già più volte modificato e che altrimenti sarebbe scaduto il 9 aprile. Amato si impegna anche a modificare il decreto una volta in vigore in cambio dell’approvazione. Erano molti i senatori interni alla maggioranza, oltre alla Lega, a ritenere che il decreto contenga misure anticostituzionali tanto che molti paventavano che Napolitano potesse non firmare.
5 aprile: L’Espresso esce con lo scoop di regime, la testimonianza di un collega di Raciti che afferma di aver colpito il collega con lo sportello aperto della jeep mentre faceva retromarcia. Scoop di regime perchè sapientemente tenuto nei cassetti e dato in pasto al popolo solo dopo che il Senato aveva approvato il decreto. Un vero esempio di giornalismo libero, non c’è che dire.
12 aprile: Lipera e Coco, avvocati difensori del 17enne ancora in carcere, riportano un passaggio delle motivazioni con cui il Gip ha rigettato la richiesta di ulteriore perizia. Nel documento si sostiene che quest’ultima è «da effettuarsi inevitabilmente sugli atti, attesa la natura dell’organo lesionato, oramai disperso».
14 aprile: spunta un nuovo filmato, stavolta di Antenna Sicilia tv, all’interno del quale la Polizia trova alcune sequenze che riguardano proprio Raciti. Le immagini sono da collocare intorno alle 20.15, poco più di un’ora dopo il presunto scontro con i tifosi nella porta d’ingresso della curva Nord dello stadio Massimino, 18 minuti prima del presunto impatto che il poliziotto avrebbe avuto con lo stesso Discovery. Si vede Filippo Raciti che cammina (zoppicando?) aggrappato con una mano allo sportello anteriore destro aperto del Discovery e con l’altra appoggiata sul tettuccio del veicolo che procede lentamente. Raciti non è riconoscibile perchè è preso di spalle e sembra palese che questo filmato si tratti di una risposta all’articolo de L’Espresso. Sembra poco plausibile che se le ferite riportate dipendessero dalla lamiera lanciata intorno alle 19.10, un uomo con quattro costole rotte e un’emorragia al fegato abbia continuato a partecipare agli scontri per un’altra ora almeno prima di morire.
Una morte da cavalcare. Al di là della cronaca, resta la drammaticità di un lutto. Adesso non c'è più Raciti, non c'è più il suo fegato, ma in compenso c'è una legge che in tema di libertà d'espressione e di contenimento delle libertà personali non ha niente da invidiare con la Russia di Putin, e con il regime di Myanmar.
Sappiamo che molti non andranno mai a leggersi la Legge Amato, che altrettanti pensano che stiamo esagerando e che “comunque qualcosa andava fatto”, che “gli ultras sono indifendibili” e che tutto il resto sono “vicende marginali”.
Tuttavia, come tradizione italiana impone, ci troviamo di fronte ad un giallo sulla morte di una persona e con un decreto che questa morte l’ha cavcalcata confidando in un clima da unità nazionale che non è stato rotto neppure da qualche puntualizzazione della cara sinistra “radicale”, arcobaleno e responsabile."
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