Se sei un critico musicale ormai affermatissimo di un quotidiano di punta del Paese, puoi anche gigioneggiare col nome di Melpignano e raccontare che la tua prima reazione, all’epoca, quando ricevesti il comunicato-stampa di un festival rock organizzato laggiù in Salento, fu quella di andarlo a cercare sulla carta geografica: dove sta Melpignano? E, soprattutto, perché lì?
Siccome le cose non succedono mai per caso, anzi «ciò che deve accadere, accade», quel festival fu un inizio, una trasformazione e, come dicono i CCCP stessi nel corso del documentario, lo scioglimento di una storia matura. Perché a vent’anni è facile avere ragione, soprattutto se sogni un mondo diverso da quello che hai, ed è invece straordinario che un gruppo di poco più che ragazzi si presenti alle amministrative e vinca le elezioni: è il 1980 quando Antonio Avantaggiato capolista del Pci («non le mezze misure che ci sono oggi», commenta un lapidario Princigalli) diventa Sindaco del paese salentino, carica che confermerà poi anche nella successiva legislatura.
È in questo clima che maturerà la storia raccontata in “Kissing Gorbaciov”: nel luglio 1988, secondo mandato del Sindaco Avantaggiato, un gruppo di giovani attivisti decide di organizzare, nel campo sportivo del paese (fatto di «pietrisco e polvere»), uno dei primi festival per gruppi rock emergenti. Antonio Princigalli, all’epoca responsabile regionale ARCI, e Sergio Blasi, addetto alle politiche giovanili del Comune, non si accontentano di invitare solo gruppi italiani; sognano invece l’impossibile: portare a Melpignano una selezione di rock band sovietiche. E l’impossibile accade perché Gorbaciov, da pochi anni eletto Segretario Generale del PCUS, viene a sapere del progetto e decide di finanziarlo: così, la trasferta delle band sovietiche a Melpignano sarà ricambiata, l’anno dopo 1989, con una mini-tournée dei gruppi italiani (CCCP Fedeli alla Linea, Litfiba, Rats e Mista & Missis) a Mosca e Leningrado.
A questo punto le storie si intrecciano e si separano, al tempo stesso: da una parte le memorie collettive di quella tournée in una Unione Sovietica ormai sull’orlo dello sfacelo, dall’altra la storia di una delle band più influenti e cosmopolite del rock europeo; da una parte ci sono i ricordi dietro le quinte, i materiali d’archivio, i racconti di “affinità e divergenze” (soprattutto quelle tra CCCP e Litfiba) e le suggestioni personali mentre dall’altra si ripercorrono le "pubbliche virtù": canzoni, testi, performance anarcoidi (sul palco e fuori, tipo sulla Piazza Rossa, temendo l’imminente arresto con giro finale alla Lubjanka…) oppure i momenti finali di una storia musicale piena di intuizioni e brani epocali.
Mettere davanti alla macchina da presa quattro persone come i nostri, con le loro intelligenze, l’ironia e la profondità dei pensieri produce un gran bel risultato, una visione limpida e per nulla agiografica; manco una parola fuori posto, nessun compiacimento, niente parlarsi addosso. Concretezza, precisione, giusta misura. Nelle dichiarazioni di stampa Giovanni Lindo Ferretti, Massimo Zamboni, Annarella Giudici e Danilo Fatur mettono le mani avanti spergiurando che non si tratta di una reunion («non abbiamo più l’età», dicono) ma il progetto di questo docu-film (molto più scritto di quel che sembra) li rimette al centro dell’attenzione: insieme alla mostra organizzata ai Chiostri di San Pietro a Reggio Emilia fino all’11 febbraio, esso ne ripercorre i quarant’anni di storia e ci dà anche l’occasione per verificare da vicino la concretezza di certo pensiero utopico. Mettere insieme un’idea completamente folle come quella del festival melpignanese con l’etica e l’estetica fortemente connotata della band emiliana evidenziano il legame stretto tra sogni e realtà possibile restituendoci la forza di anni in cui, per dirla con Gino Castaldo, «un varco temporale sembrava essersi aperto e andava attraversato», a maggior ragione se lo riguardiamo oggi, quello stesso varco, che parrebbe ormai serrato per sempre.
Non è facile tenere diritta un’operazione che celebra un’epoca intera attraverso uno sguardo così specifico come la vita di una rock band ma Andrea Paco Mariani e Luigi D’Alife, registi e sceneggiatori, e Roberto Zinzi, co-sceneggiatore e montatore, hanno saputo mantenere in perfetto equilibrio tutta l’operazione: la parte d’archivio, coi materiali recuperati direttamente dalle mani dei CCCP, e quella girata apposta seguono un percorso di continuità e coerenza assoluta nel quale interviste e confessioni, fiction e memoir si susseguono a un ritmo perfetto, senza sbavature, senza pesantezze, senza passi falsi.
Al contrario, tutto scorre, tutto si tiene e, anche se i tempi sono completamente diversi, le Storie sono tutto quello che abbiamo e non sono ancora - per niente - finite.
E allora, CCCP... Felicitazioni!
Share |
< Prec. | Succ. > |
---|