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La trilogia di Valis

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Personalmente, ritengo Platone colpevole di molte cose. Con il famoso “senno di poi” posso però -bontà mia- riconoscergli due attenuanti: la prima è di non essere responsabile delle generazioni successive che hanno lavorato infaticabilmente al drastico peggioramento di ogni errore presente -anche solamente “in nuce”- nelle sue opere, la seconda è che senza Platone e i suoi epigoni, Philip K. Dick non avrebbe scritto la trilogia di Valis(1), o quantomeno sarebbe rimasto nel campo del puro delirio. Quella che viene generalmente riconosciuta come la sua opera migliore ossia “The man in the high castle” (2) , è -secondo me- concepibile “al limite” anche al di fuori di qualunque “platonismo”, ma ….questo non vale per nessuna delle opere che compongono la trilogia di Valis, e, parimenti, non vale per molte delle sue opere migliori.

Mi è capitato di assistere a molte discussioni sull'appartenenza o meno di questa trilogia al genere “fantascienza” piuttosto che alla teologia, ovvero al “romanzo filosofico”, oppure alla gnoseologia o ad altri generi ancora, e confesso il timore che nessuna “etichettatura standard” possa essere efficacemente utilizzata per descrivere nessuno dei tre libri che la compongono: ossia “Valis”; “La divina invasione” e “La trasmigrazione di Timothy Archer”. Gli interrogativi sulla natura della realtà presenti del resto nella maggior parte delle opere di Dick vengono declinati, in chiave nettamente gnostica; con apporti di altre culture (in “Valis”), o nel “solco” della teologia mistica ebraica (in “La divina invasione”). E, se non ci fosse stato Platone, il tutto sarebbe rimasto nella follia pura; ma Platone -che a me piaccia o no- c'è stato, e la rimanenza del suo influsso è stata tale da far si che “la trilogia di Valis” sia potuta essere l'opera d'arte che in effetti è. I nessi tra le varie opere sono comunque piuttosto vaghi: al di là di pochi rimandi tra un libro e l'altro, è solo l'argomento a fare da blando collante. Esaminiamo singolarmente e in estrema sintesi ognuno dei tre libri:

“Valis”, è quella che si presta meno ad una descrizione; almeno parzialmente autobiografico (fino al punto che l'io narrante -con molte caratteristiche di Dick - si sposta poi incoerentemente “in terza persona” e il narratore da un certo punto diviene Dick stesso), racconta tutta una serie di esperienze dal tragico al banale, dal quotidiano al soprannaturale fino all'intuizione dell'entità chiamata appunto VALIS ( in un dialogo risolto come un acronimo di “Vast Active Living Intelligence System”)...e altri indizi, e ricerche correlate…. in un clima di misticismo “montante”, ma sempre monoteista, o quantomeno monista. Si finisce per essere “saturati” dalle ossesioni dell'autore....Comunque sia, è un segno dell'importanza artistica dell'opera....

Ne segue un'appendice -volutamente e dichiaratamente criptica- in cui vengono un po' “strutturate” -in forma di 53 aforismi -pensieri -brevi approfondimenti le concezioni mistico-filosofiche dell'opera, che attinge “a piene mani” dal neoplatonismo, soprattutto di stampo cristiano, e dallo gnosticismo, ma che risente delle più varie influenze.

Tra queste tre opere "Valis" è quella in cui l'autore sperimenta maggiormente nuovi moduli narrativi; ed è solo la sua grande maestria tecnica che riesce a tenere insieme “il tutto”.

In “La divina invasione”, il Messia atteso dagli ebrei nasce, nel futuro e su un altro pianeta. Dovrà riconoscere e confrontarsi con la struttura del reale, descritta con un uso da romanzo giallo delle “impalcature” della teologia mistica ebraica. Malgrado qualche pagina molto “evocativa”, un lettore non monoteista tende ad annoiarsi. Rimane uno sguardo non banale sulla trama del “tessuto della realtà”.

“La trasmigrazione di Timothy Archer” è forse la parte letterariamente più riuscita della trilogia. La parte immortale del vescovo Archer arriverà a trasmigrare in un altro corpo. La narrazione è realistica; secondo W. Catalano (3) il personaggio del vescovo Archer sarebbe modellato su quello del famoso vescovo episcopale californiano J.A. Pike ed anche gli altri personaggi sarebbero stati modellati su persone realmente esistite. Tutti i personaggi sono emotivamente ben tratteggiati nel dettaglio, e ne risulta un quadro vivido, coinvolgente e “credibile”. Le “elucubrazioni” teologico-filosofico-gnoseologiche -rispetto agli altri due volumi– rimangono “meno saturanti” e questo rende la lettura più “godibile” ad un pubblico più ampio. I temi di fondo rimangono però gli stessi delle altre opere della trilogia.

L'influenza di Philip K. Dick sul mondo attuale è un tema immenso, così come la sua banalizzazione, o persino il suo travisamento….La trilogia di Valis rimane un'opera “che vale la pena leggere”.

                                     

Fabrizio Cucchi, DEApress

 

 

(1) “La trilogia di Valis”, Fanucci editore, 2010

(2) Varie edizioni italiane con l'atroce titolo “La svastica sul sole”

(3) http://www.carmillaonline.com/2013/12/15/philip-k-dick-le-stigmate-valis/

 

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Ultimo aggiornamento ( Mercoledì 25 Novembre 2015 18:35 )  

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