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Gianluca Del Chicca: il suo piccolo romanzo

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GIANLUCA DEL CHICCA
"Quel dolorino in basso a sinistra"

COVER DEL CHICCA

Breve e incisivo quanto basta per oltrepassare la linea naturale della letteratura "pop" più smielata. Interessante vicenda che si dipana a ritroso come una sorta di flashback continuativo che, grazie ad intriganti soluzioni di continuità, capitolo dopo capitolo torna all'origine dei fatti. Ed i fatti sono assai "pop", bisogna dirlo, di quelli intimi e quotidiani per un ragazzo che inizia ad abbandonare l'adolescenza: ritrovarsi un giorno a chiedersi come siamo finiti in quei panni, in quel posto, in quelle scarpe... e la risposta sarà la vita stessa, quella che l'autore ripercorre, quella di anni difficili di cambiamenti e decisioni che si configurano come nelle migliori sliding doors. Ed è lui a prenderla per mano questa vita, lo fa per 130 pagine circa ed è occasione ghiotta per prenderne spunto e trasformarlo in un romanzo che, se da una parte non esalta di colpi di scena e trovate geniali, dall'altro rapisce a tratti come una lettura thriller ben stesa. Gianluca Del Chicca pubblica per Bibliotheka Edizioni "Quel dolorino in basso a sinistra" che vede anche una puntuale prefazione di Dario Ballantini. Scritture snelle e dipinte con colori a pastello.

Da buoni toscani non potevamo che apprezzare il rimando a certe origini. Quanto “la provincia” in effetti ha condizionato la partenza per l’estero? Solo l’amore o anche altro ha giocato nella decisione? Parlando di vita reale…
Molto ha giocato anche la destinazione, Londra era legata ad uno dei periodi più spensierati, vivi e intensi della mia vita, un’estate passata qui tra il secondo e terzo anno universitario con due amici di infanzia, un ribollire di esperienze, situazioni, incontri e prime volte; ci sono tra l’altro nel libro anche un paio di accenni proprio a quel periodo.
Partendo da queste basi venne praticamente spontaneo non pensarci su due volte e seguire la ragazza in questa decisione, il trasferimento da Firenze a Londra cercando di intraprendere una carriera lavorativa nella metropoli britannica. Venendo appunto da Firenze, dove avevo vissuto sei anni, e non dalla mia città, Livorno, diciamo che la decisione non è stata più di tanto condizionata dalla volontà di lasciare “la provincia” e le origini, che non solo non rinnego ma con cui sarò per sempre un tutt’uno, la livornesità infatti rimane dentro, a prescindere dalla lontananza!

Secondo te, questo romanzo è legato proprio alla rivoluzione di vita che hai vissuto o era un bisogno latente che avevi a prescindere?
Per me scrivere questo libro ha rappresentato uno sfogo, il modo per poter fare i conti con il passato e chiudere certe porte, potrei anche dire quasi una liberazione!
La mia prima vigilia di natale a Londra me ne andai da solo in una taverna, la ragazza era tornata a casa per le vacanze, non conoscevo ancora praticamente nessuno e non trovai nessun posto migliore dove andare. Sedutomi in un tavolo isolato aprii il computer ed iniziai a leggere un racconto scritto anni prima, probabilmente il mio miglior racconto, certamente quello che mi aveva coinvolto di più, e da lì, da quella taverna prese il via il romanzo, un po’ per caso e un po’ perchè comincai a sentirne il bisogno. Poi è diventata quasi una sfida, lo prendevo e lo lasciavo, lo riprendevo e poi lo rilasciavo, fino a quando l’esigenza creativa ha finalmente prevalso e nei mesi liberi tra il mio primo e il secondo lavoro a Londra è stato terminato.
Lo scrivere questo libro è stata appunto prima di tutto un’esigenza personale, a un certo punto ho sentito la necessità di ripercorrere certe tappe e determinati episodi a distanza di anni, ripensare a situazioni che evidentemente mi erano rimaste impresse e che ho voluto in qualche modo rivivere; è servito anche a rivedere certe cose con il giusto distacco e un diverso peso, rendendosi conto dell’influenza che possono avere avuto certe scelte e di come al tempo posso aver reagito a determinate situazioni...

Torneresti in Italia? Domanda secca…
È una di quelle domande che ricorrono in continuazione, da cui non puoi staccarti, emerge nelle discussioni tra gli amici italiani qui a Londra, nei blog di emigrati, te lo domandano ogni volta che torni a casa ed è uno dei pensieri ricorrenti delle lunghe e solitarie passeggiate lungo il Tamigi, che qui per forza di cose ha preso il posto del caro lungomare livornese...e una risposta proprio non riesco ancora a trovarla!
Sono ormai undici anni che abito qui, mai avrei pensato che sarei rimasto così a lungo, ma alla fine tra un lavoro e l’altro e una storia e l’altra, la città ti avvolge, ti adegui ai ritmi e il tempo scorre senza che uno se ne possa rendere conto, ed è vero che ogni anno che passa è sempre più difficile stare lontani da casa, ma sembra anche sempre più difficile tornare indietro...

Questo libro ha avuto anche una vita in Inghilterra?
Diciamo che l’unica vita che questo libro ha avuto in Inghilterra per ora è solo quella rappresentata dalla mia narrazione, sono i racconti che vi sono descritti e i fatti che si sono svolti qui.
Una traduzione in inglese e una diffusione nel Regno Unito sono un qualcosa di lontano ancora, se devo essere sincero è un mercato che non conosco così bene per cui non ho ancora deciso di fare questo passo. Ho chiesto e fatto un po’ di ricerche, più che altro per curiosità personale, con lo scopo di raccogliere informazioni su traduzioni professionali, ma la procedura di presentazione dell’opera e ricerca di una casa editrice sono cose su cui allo stato attuale non posso e non voglio concentrarmi...diciamo che sono più focalizzato sulla stesura di un secondo libro!!

Ci parli della grafica di copertina? Molto particolare… sulle prime si penserebbe ad un suicidio…
Anche io sulle prime ho avuto la stessa impressione quando mi è stata proposta dalla casa editrice, e non ero per niente convinto della scelta, non mi sembrava adatta e pareva lontana dal messaggio che volevo fare arrivare.
Poi però ho progressivamente cambiato idea, nel libro non ci sono situazioni che facciano pensare a soluzioni estreme ma il protagonista è comunque sempre avvolto dall’incertezza, emerge spesso il gusto agrodolce della narrazione, e così ho deciso che fosse la copertina giusta!
E poi la foto mi piace perchè appunto non è interpretabile, dà l’idea di precarietà ma anche di sospensione, le gambe sono penzoloni, la persona è forse in bilico ma non è detto, chissà; potrebbe richiamare problemi sociali ma anche energia, slancio, voglia di soffermarsi un attimo e guardare più in là, pensare, ed è questo il messaggio che si è voluto dare con quella foto...

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Ultimo aggiornamento ( Mercoledì 16 Ottobre 2019 12:04 )  

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