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Salone del Gusto: missione o contraddizione?

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Salone del Gusto 2012, Torino

Ci sono posti migliori al mondo per stare in coda che non l’anonimo piazzalone del Lingotto a Torino. Non è il Louvre eppure l’impatto è notevole: una coda così la si potrebbe immaginare fuori da uno stadio per una finale di Champions oppure ad un casting di una qualche trasmissione televisiva. Chissà.

Invece è il Salone del Gusto – Terra Madre (da quest’anno, per la prima volta, quelli che erano due momenti distinti si sono svolti contemporaneamente), uno dei più grandi eventi sul cibo ed il mangiare a livello mondiale, in grado di surclassare persino la “Fiera Statale dell’Illinois” immortalata in uno dei racconti più memorabili di David Foster Wallace (*).

Una grandiosa fiera delle contraddizioni. E’ questa l’impressione finale di due giorni passati a girovagare in mezzo agli stand, tra loghi e aromi, tra culatelli, kanihua e agnelli sambucani con occhi da osservatore “neutrale”, senza essere cioè un produttore, un operatore/professionista del settore oppure un food blogger di quelli tanto corteggiati per il loro valore aggiunto di testimonial “non pagati”.

Perché insieme al microproduttore siciliano disposto a raccontarti per filo e per segno, persino con l’ausilio delle foto personali catturate col telefonino, il procedimento di raccolta delle sue lenticchie, ecco campeggiare il megastand di Lavazza, multinazionale del caffè, oppure quello della COOP che, senza dubbio, del commercio equo e solidale o della cultura del cibo è forse più il rullo compressore che non lo strenuo difensore.

E, ancora, ascoltando parlare una giovane laureata in “comunicazione e marketing con master in comunicazione istituzionale” che magnifica Massimo Bottura e stravede per il food blogging ti rendi conto che, come per tanti altri ambiti, uno fra tutti quello letterario, sia ormai il marketing che dirige ogni respiro. Che mena le danze, vivacizza il baraccone.

Ecco, perso a metà tra il culturale e l’evento sportivo (l’affluenza di sabato è stata raccontata in 130.000 anime: più di due stadi stracolmi…), il Salone si svela per quello che è: lo specchio perfetto del mercato globale in cui a muovere il contadino è la volontà di far conoscere i suoi prodotti e vendere, vendere, vendere. Tanto che mi è parso significativo un piccolo episodio: in un banco di microproduttori brasiliani campeggiavano alcuni sacchetti di farine. Una visitatrice si avvicina convinta e, dopo aver ascoltato una quasi conferenza colta sulle stesse farine ed i loro possibili utilizzi, chiede di comprarne qualche sacchetto. Orrore e raccapriccio!: le farine non sono in vendita, il fazendeiro si avvicina e spiega timidamente che quella farina è solo per “mostra”. La visitatrice, incredula, se ne va sdegnata: “non si può arrivare dal Brasile fin qua e non portarsi dietro roba da vendere”. Necessità impellente di farina o frustrazione da consumismo represso?!

Le due anime della fiera sono oltretutto ben divise, separate: nei padiglioni principali del Lingotto c’è il rutilante mondo dei produttori occidentali che ha attirato, in una bolgia da girone infernale, la grandissima parte dei 130.000 visitatori di cui si diceva; nella struttura denominata “Oval” invece ecco quel che è stato denominato, ancora una volta nomen omen, “Mercato Internazionale” ovvero la parte più vicina all’anima antica di Slow Food, quella fatta delle produzioni più o meno “povere” del sud del mondo, di biodiversità, di equo-solidale, di sostegno ai contadini di Paesi in via di sviluppo, padiglione nel quale aggirarsi tra gli stand, molto meno rutilanti, era una tranquilla passeggiata, senza troppa ressa, senza ansie da consumo. E naturalmente le migliori “scoperte”, per quanto ancora possibili, si sono fatte proprio qui.

Insomma una grande confusione e una gran fatica orientarsi persino con la bussola amica dello spirito critico: se fino a qualche anno fa si poteva ancora ragionare in termini di manifestazione alternativa allo strapotere del sistema industriale dell’agro-alimentare, in pochissimo tempo si comincia ad osservare una certa trasformazione ed oggi lo “spirto che move ’l sole e l’altre stelle” sembra essere uno anzi trino: mercato, mercato, mercato.

(Antonio Desideri, text & ph.)

 

(*) D. F. Wallace - Invadenti evasioni, in “Tennis, trigonometria, tornado” - Edizioni minimum fax, 1999

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Ultimo aggiornamento ( Lunedì 29 Ottobre 2012 12:42 )  

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