“La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino (..). L’ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica.”: è l’articolo 52 della super legem, la Costituzione della Repubblica italiana che in altri passi si dichiara ispirata a ideali di pace (Articolo 11, sezione 'Principi fondamentali': "L'italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali").
A pochi giorni dall’annuale ricorrenza della Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze armate, una questione si pone, tanto urgente quanto più i governi propongono politiche di un imposto clima di austerity: diritti fondamentali venduti a mercati finanziari, Merkel, agenzie di rating e i loro privilegiati portafogli.
A prescindere dalle ingenti spese che il 4 novembre e i suoi festeggiamenti, istituiti nel 1919, prevederanno (certa che non ci sarà nessun ridimensionamento pari ai tagli a istruzione e sanità pubblica), il problema è a monte: perché lo Stato ritiene opportuno festeggiare un armamentario che per l’anno 2010 ci è costato più di 20 miliardi di euro, di cui 59 mila e 700 per ricerca e innovazione e un’unità nazionale che aspetta ancora di “fare gli italiani”?
Un governo che invia l’esercito a Napoli e poi diminuisce le risorse alla scuola pubblica rinvia un problema, che è innanzitutto culturale, del Sud Italia: se i giovani terroni si sentono più briganti che italiani, un motivo ci sarà. Ed è istituzionale.
La politica del taglia qua e cuci là continua a investire su Esercito, Marina, Aeronautica militare, Arma dei Carabinieri e a rinvigorire quella linea della palma, intuita da Sciascia, con scudi fiscali e fesserie burocratiche. Certo è che il governo di Roma ha dimostrato a tal proposito poca lungimiranza.
Tornando alle Forze Armate, il quadro si complica se, contestando i mezzi guerrafondai solitamente impiegati per portar la pace, ci imbattiamo in una dialettica storica che ha fatto dello scontro armato la quasi esclusiva strategia vincente; pensiamo all’Unità d’Italia, che passa attraverso le battaglie dei Mille, alla resistenza armata di partigiani e soldati dell’Alleanza per abbattere il delirio totalitario italo-tedesco, allo sradicamento della dittatura di Saddam Hussein, Gheddafi, Mubarak, Milosevich e tanti altri. Tuttavia, “si accetta troppo facilmente che sola la guerra possa muovere la storia” (P. Ginsborg); pensiamo pure alla secessione dell’Aventino, a quel tentativo diplomatico di opposizione alla linea borghese fascista, al Mahatma Gandhi e la sua politica della non-violenza, allo sciopero bianco nelle fabbriche, al boicottaggio delle merci, all’omino che con le buste della spesa è riuscito a fermare i carro armati cinesi. Occorre esser all’altezza di un sogno così ambizioso come la pace.
Benché rari, ci sono stati tentativi di ottener conquiste senza scender a patto con la distruzione civile di bombe a grappolo e artiglieria. E il loro esserci stati dichiara la possibilità di esserci ancora.
E’ una questione di politica e di priorità. L’associazione “Resistenza Anticamorra” aspetta ancora dall’amministrazione del comune di Napoli una struttura per organizzare l’attività di volontariato socio-culturale per giovani altrimenti destinati alle piazze di spaccio dei clan: si spiega che la cultura mafiosa fa schifo portando i ragazzi a scuola, e non mettendo loro in mano un fucile.
E’ la nostra dignità di esseri umani a rimetterci.
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