Da Ulrich Beck e Timothy Ash a Paolo Giordano e Walter Siti
All'indomani della seconda guerra mondiale lo scrittore e saggista tedesco Thomas Mann diceva: “vogliamo una Germania europea e non un'Europa tedesca”.
A distanza di decenni l'ordine di queste parole sembra essersi ribaltato e contrariamente alla proprietà transitiva delle addizioni qui il risultato è ben diverso.
Ulrich Beck e Timothy Garton Ash, due volti di questa edizione 2013 di Repubblica delle idee, scrivere per ricominciare, osservatori implacabili delle dinamiche del nostro tempo e di quelle che serpeggiano in territorio europeo, non esitano a mostrarci un'Europa in cui Bruxelles ha ceduto il posto a Berlino.
L'asse decisionale si è spostata, la Germania è al centro della politica europea degli ultimi anni, ha assunto una posizione privilegiata e alla radio sentiamo lo speaker che annuncia: al Bundestag si decide sulla Grecia.
A cosa stiamo assistendo?. Cos'è cambiato negli ultimi anni?. Qual è la realtà che stiamo vivendo?
Domande che richiedono una risposta perché le generazioni di questo disordine attuale hanno bisogno di ritrovare nelle istituzioni europee quella fiducia che per decenni ha animato lo spirito collettivo di popoli sconvolti dalla guerra che sentivano il bisogno di un domani migliore.
"Per molti anni ciò che ha spinto l'Europa è stato il ricordo di quelle esperienze -nazismo, fascismo, comunismo, conflitti globali-. Si era visto un brutto film e quello che si voleva era un futuro in cui il passato non si sarebbe dovuto ripresentare. Oggi, dopo sessant'anni, siamo in quel futuro, quel ricordo inizia a svanire e se guardiamo indietro di qualche anno, dal 2008, quel processo di miglioramento si è nuovamente invertito". Con queste parole Timothy Ash ci introduce nel terreno tortuoso di un'Europa attanagliata da una crisi economico-polita e Ulrich Beck, parlando di quella "affascinante e complessa" macchina che è l'Europa, insiste sul pericolo di compromettere la democrazia.
Parole, queste, che accendono il campanello d'allarme e richiedono un antidoto efficace: nel 2007 il consenso raggiungeva livelli del 30%, oggi, quasi lo stesso numero è preceduto da un meno (-22%) e viviamo una situazione di instabilità in cui paesi come Grecia e Portogallo ricevono aiuti e paesi come la Germania li concedono. Inevitabilmente si creano disuguaglianze, l'ordine politico-sociale ne esce alterato e l'euroscetticismo dilaga.
Quale sia il significato dell'Europa oggi ce lo dobbiamo domandare e lo dobbiamo fare a partire dalle persone, dagli individui delusi, da quelli che sentono l'Unione Europea come qualcosa che non li appartiene, come un corpo estraneo che non è parte di noi.
L'io non si identifica, l'individualità è esposta al rischio di non potersi affermare, il soggetto si ritrova sommerso, il giovane è costretto a posticipare i propri progetti, si sente prigioniero di un immobilismo sociale in cui non riesce a muoversi e inesorabilmente si ritrova vicino all'altro.
L'altro che non si conosce ma che è sempre più prossimo e dato che lo sarà sempre di più risulta necessario uscire dallo schema dei nazionalismi e degli universalismi (strettamente connessi ai primi), considerare le disomogeneità identitarie, accettare l'alterità e adottare un nuovo punto di vista.
"Abbiamo bisogno di un'altra Europa, non di un'Europa più grande"; così Ulrich Beck ci traghetta nella sua visione cosmopolita in cui "vedere se stessi con gli occhi degli altri" risulta necessario per abbandonare quelle divisioni tra nord e sud, tra paesi che prestano e paesi che ricevono.
Viviamo un momento di urgenza e i paradigmi tradizionali non si adeguano più alla condizione presente; la crisi economico-politica richiede una trasformazione profonda, la definizione di una nuova logica che deve necessariamente sganciarsi da quella che ha ispirato la nascita dell'Unione e plasmarsi all'attuale situazione, invadere il terreno sociale affinchè l’Europa non venga, ancora una volta, vissuta come una creatura aliena.
In questo momento cooperazione e misure concrete consentirebbero di compiere un passo in avanti allontanandoci dal fallimento; questo anno risulta cruciale per il progetto europeo: le elezioni tedesche e quelle del parlamento europeo rappresentano il giro di boa che può riportarci a riva o farci perdere negli abissi.
La Germania dovrà dimostrare di essere all'altezza (T. Ash); nel corso degli anni si è trovata ad assumere una posizione di potere, si è costituito un impero casuale (U.Beck) che non si è imposto, non è stato pianificato, sta succedendo ed è proprio per questo che il cambiamento deve partire da lì. Il baricentro si è spostato e ne dobbiamo prendere atto.
E i giovani studenti a cui Timothy Ash parla dalla cattedra della prestigiosa Università di Oxford “non devono perdere la speranza perché le cose, se non vogliamo rimanere schiacciati dalle grandi potenze emergenti -Cina, India, Brasile- devono cambiare, si deve riaffermare e difendere il modo di vivere europeo”.
Non a caso la parola speranza ha riecheggiato più volte durante le tre giornate di conferenze, dibatti e incontri organizzati da Repubblica.
Il giovane Paolo Giordano, autore della "Solitudine dei numeri primi" e di "Il corpo umano", ci parla di speranza come qualcosa che va coltivato -"dobbiamo imparare il giardinaggio della speranza"- e affinché i giovani non si lascino schiacciare dall'immobilismo e dall'impotenza politica che è sotto i nostri occhi, dobbiamo uscire dall'impasse sociale che ci abbranca: "la speranza richiede un forte slancio e ciò è possibile laddove c'è movimento, laddove l'idea di infinito, generosità e sovvertimento trovano un terreno da infestare".
Walter Siti, infine, apprezzato critico letterario e scrittore, ci tiene a sottolineare l'urgenza di un cambiamento, un cambiamento intelligente che presuppone la comprensione dello spazio sociale in cui ci muoviamo perché "dovere e diventare sono due concetti che per quanto lo vogliamo non stanno insieme; diventiamo ciò che possiamo". Cambiare presuppone una scelta, una scelta delle questioni per le quali vale la pena spendere energie perché, ironizza Siti, "affinché continuiamo a credere nel futuro dobbiamo comprendere e scegliere perché è vero, se tutti ci mettessimo a saltare insieme molto probabilmente riusciremmo a spostare l'asse terrestre di qualche millimetro ma, a cosa servirebbe?".
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