Cesare Beccaria nel Dei delitti e delle pene scriveva contro la pena di morte. Eravamo del XVIII secolo.
Ascanio Celestini scrive sul blog del Fatto quotidiano (http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/06/26/tortura-diventiamo-civili-votiamo-la-legge/1040231/) che in Italia la tortura non è reato, “ma è un reato secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo che ci condanna per l'ennesima volta”. Siamo nel XXI secolo.
Dunque, ci siamo arrivati almeno teoricamente a comprendere che uccidere un altro uomo per punirlo non è la strada che l'ideale della giustizia deve perseguire. Per quanto riguarda la tortura, invece, no, ancora non l'abbiamo afferrato che infliggere delle pene corporali non deve essere legittimo né la legge deve astenersi dal pronunciarsi da una tale ingiustificabile violenza.
La questione è delicata, perchè se consideriamo che nei carceri per esempio il personale è diminuito, un addetto al penitenziario potrebbe sentirsi tutelato con la legittimazione della violenza su un detenuto che crea disordine nell'ambiente del carcere.
Come distinguere l'atto lecito da quello che esula dal campo della legalità?
Eppure, sono fermamente convinta che tra le offese più gravi che si possano rivolgere a un proprio simile rientra quella corporale, quella che infligge dolore attraverso la violenza fisica.
Se la Legge autorizzasse una distorta concezione di “legittima difesa” del pubblico ufficiale, potremmo trovarci nella tragicomica situazione della colonia penale kafkiana, dell'erpice che incide sul corpo del condannato la violazione di quella legge. Un circolo vizioso in cui resteremmo intrappolati, senza che la virtù, la solidarietà (o se vogliamo dirla col lessico cristiano, quello a cui siamo abituati, la carità) potrebbero orientarci nella cura dell'altro, quel comportamento che più di tutti per Heidegger distingue lo stare al mondo autentico dell'essere umano.
Ascanio Celestini spiega con un'argomentazione fattuale la sua opinione, citando il caso di Dimitri Alberti, arrestato dai carabinieri, a Verona e poche ore dopo “in carcere con tre costole fratturate e un ematoma al testicolo sinistro che, secondo i giudici europei appaiono incompatibili sia con una condotta legale dei carabinieri che con la tesi, sostenuta dai militari, che Alberti se le fosse inflitte da solo”.
Quotidiano che riporta la notizia di cronaca è il Manifesto, uno dei pochi dice Celestini che non si lascia distrarre dalla passione italiana per il calcio e mantiene alta l'attenzione sulla giornata internazionale a sostegno delle vittime di tortura.
Citando l'attore romano, “pare che anche Renzi sia uscito dall’aula del Senato per andarsi a vedere la partita. Adesso speriamo che rientrino tutti per votare una legge contro la tortura che in Senato è già passata, ma deve essere approvata alla Camera. Ce lo chiede l’Onu e ce lo ricorda l’Europa con l’ennesima condanna. (…) Cerchiamo di entrare nel mondo civile”. Con quest'auspicio, ci auguriamo che l'Italia sia sempre meno distratta dai suoi miti, inconcludenti su molteplici fronti.
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