Il coltello nell’acqua di Roman Polanski (1962), proiettato presso la Galleria DEA venerdì 12 ottobre nell’ambito del Cineforum “Il cinema che non c’è”, è un film cinico e tagliente, girato con mezzi semplicissimi e con una struttura lineare, uniforme, quasi aristotelica. Tre soli protagonisti, isolati su una barca alla mercé del vento e delle passioni: un triangolo amoroso che si carica di un represso sadismo, fatto di prevaricazioni, parole non dette, azioni dolci, disperanti o ipocrite. A metà tra il noir e lo psicodramma, l’opera prima di Polanski testimonia quell’indubbio talento che sfocerà in una serie di grandi successi, ma anche scandali e polemiche.
La piacevole serata, condotta dal sempre sagace e ironico Rino Melotti, che ha visto la ricca partecipazione dei soci dell’Associazione socioculturale DEA, riuniti per discutere assieme i molti risvolti di questa preziosa pellicola. Ma anche un momento didattico, di convivialità e interscambio, su cui è gravato purtroppo l’intervento dei rappresentanti della SIAE, che hanno lamentato la “non-legalità” della proiezione.
Lasciate da parte le questioni squisitamente legislative, l’episodio costringe a una riflessione sul piano più semplice e puro dei valori etici. Perché qualche secolo (o decennio) di legislazione non equivarrà mai a quei millenni di convivenza pacifica (o di reciproca sopportazione) che hanno permesso alle comunità umane di introiettare valori ormai indissolubili. E osservato in questa prospettiva, l’intervento della SIAE denuncia l’ormai totale degenerazione in chiave usuraia di principi – almeno in un primo tempo – pienamente giustificabili.
La difesa dei diritti dell’autore (e dell’editore) è diventata una scusa dietro cui si nasconde il ferino bisogno di sopravvivenza di una istituzione sempre più degradata.
La diffusione della cultura, gratuita e aperta a tutti, è vista come un crimine da debellare. E se in questo periodo di crisi ci lamentiamo dei tagli alla cultura, dovremmo forse anche riflettere sull’inadeguatezza della struttura su cui poggia questo stesso sistema, sempre più guidato da ragioni di mercato, camuffate dietro spessi strati di norme e legislazioni. Ciò che emerge alla fine, è un serpente che si morde la coda, cannibalizzando le sue stesse risorse. E le prime a pagarne le conseguenze, sono le più piccole e deboli associazioni, che dovrebbero invece essere i pilastri su cui reggere il nostro sempre più martoriato mondo culturale. Ma quando l’uomo si trova costretto a scegliere tra il denaro e la sua stessa dignità, spesso, preferisce la più facile tra le opzioni.
Per DEApress, Simone Rebora
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