Non c’è nulla di peggio che una messe di nomination all’oscar per generare pregiudizi negativi verso un film nostrano. Se aggiungiamo un regista discutibile nei suoi due precedenti lavori, una tematica ultimamente un tantino abusata e la velleità di trasferire su pellicola un libro apprezzato, impresa il più delle volte destinata al fallimento, c’erano tutti gli ingredienti per la stroncatura annunciata verso il nuovo film di Luca Guadagnino.
Ma il bello del cinema, come di tutte le arti, è quello di non essere una scienza esatta, e così la grande sorpresa è che Chiamami con il tuo nome non solo è un film bellissimo, ma addirittura, e per mio conto, uno dei più belli degli ultimi dieci anni.
La storia di per se non dice nulla di nuovo. I turbamenti adolescenziali dell’ennesimo giovane rampollo di turno della ennesima famiglia liberal che può permettersi di vivere nella ennesima agiata cascina “di sapore” servita e riverita, sono tutti argomenti già ampiamente rastrellati dalla cinematografia più piaciona e non ci fanno più né caldo né freddo.
Che la sceneggiatura sia stata affidata al noto Ivory non occorreva peraltro specificarlo nei titoli di testa, visto che gronda colate di Camera con vista e Maurice ad ogni piè sospinto e che il finale fosse quello, che pure non rivelo, era cosa talmente scontata anche senza avere letto il libro di Aciman, che non è certo l’effetto sorpresa il valore di questo film.
Il grande e immenso valore del film è un altro.
E’ la mano perfetta con cui il regista ha saputo così ben guidare la incredibile poesia, in alcuni momenti quasi magica, che il giovane attore protagonista trasmette dalla prima all’ultima sequenza, inserendolo in una serie di situazioni di contorno, filmate con una tal rara perizia e maestria da lasciare stupefatti e senza trascurare il benché minimo dettaglio.
Valga per tutti l’accompagnamento musicale della scena del rapporto sessuale con la fidanzatina coetanea nel pomeriggio che prelude al concordato primo appuntamento notturno con Oliver.
In una polverosa soffitta Elio, in preda ad una eccitazione forzata e sopra le righe nel vano tentativo di bilanciare la goffaggine del momento con la trepidazione per l’attesa della serata, decide di accendere una radiolina semi rottamata prima di buttarsi sul materasso dove già lo aspetta lei.
A quel punto parte, tra le tante possibili, la vocina in falsetto di David che canta la zuccherosa e molto anni ottanta Words don't come easy.
Non poteva esserci musica diversa per quel momento lì, assolutamente perfetta per quella che peraltro è la chiave di volta del protagonista, della storia e del film, che da quell’istante si dividerà definitivamente tra un prima e un dopo.
Ed è proprio la narrativa del prima e del dopo di questo film ad essere strepitosa, e così pure la misurata tempistica e un montaggio privo di sbavatura alcuna.
Il resto del cast è di poca rilevanza come è giusto che sia, perché la scelta di Guadagnino è stata quella di fare ruotare non solo l’intera vicenda ma l’intera regia intorno a Elio.
Risulta quindi coerente che Oliver sia di base un inespressivo americanone da rivista salutista di fitness, perché il suo presunto fascino vive solo grazie alla luce riflessa dell’innamoramento di Elio.
Bello che per una volta ci abbiano risparmiato la solita Toscana da cartolina, ambientando il tutto nella ben più suggestiva e nebbiosa pianura della bassa Lombardia, e fantastica la scelta di una Bergamo alta notturna per il picco più alto di una reciproca attrazione votata sin dall’inizio ad una necessaria quanto inevitabile provvisorietà.
Anche il finale discorso del padre, apparente omaggio al politicamente corretto da salotto bene, a ripensarci contiene una gemma preziosa.
“Siete due persone buone” dice ad un figlio in quel momento più frastornato che straziato, ed è esattamente quello che Guadagnino aveva saputo trasmetterci di Elio e Oliver in quelle due ore di film.
Io credo che non possiamo cavarcela solo dando l’ovvio oscar a Timothée Chalamet.
E allora, visto che loro due nel film si chiamano con il nome dell’altro, per ringraziarTi, caro allievo di Bertolucci, dell’emozione che mi hai dato, chiamerò il tuo film con il nome che si merita: capolavoro.
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